Il palloncino giallo

Il nocciolo della storia

Non possiamo chiudere gli occhi e fingere di non sapere: questo mondo è pieno di ingiustizie e disuguaglianze. Mentre noi abbiamo troppo, altri soffrono la fame e più ancora l’impossibilità di crescere culturalmente. Mentre noi ci annoiamo spesso sui libri e buttiamo via carta e biro che scrivono ancora, ci sono bambini che non desiderano altro che possedere una matita e un quaderno.

Tobi si lavò ben bene alla fontana del villaggio. Si sistemò con cura i pantaloncini corti che erano l’unico indumento che possedeva e poi si diresse verso la scuola. C’erano già altri bambini, accompagnati dai genitori. Tobi li guardò…

Tobi si lavò ben bene alla fontana del villaggio. Si sistemò con cura i pantaloncini corti che erano l’unico indumento che possedeva e poi si diresse verso la scuola. C’erano già altri bambini, accompagnati dai genitori. Tobi li guardò. Avevano tutti le scarpe! Si guardò i piedi nudi e li fregò contro la corteccia di un mango per scuotere il fango. Il suo papà era lontano, la mamma lavorava nel campo e la nonna non aveva tempo di accompagnarlo.
I bambini erano impazienti perché quello era un giorno importante. Il giorno dell’iscrizione alla scuola.
Andare a scuola era la cosa che Tobi desiderava di più al mondo. Sognava di imparare a leggere e a scrivere. Voleva sapere i nomi delle cose, le storie del mondo, i paesi lontani.
Si mise in fila e aspettò. Aspettò e aspettò. Quando fu il suo turno, una bella signora gli chiese freddamente: «Ma tu, bambino, li hai i soldi per pagare l’iscrizione?»
Tobi fece “no” con la testa. Non aveva proprio niente. Neanche le tasche.
«Torna il prossimo anno» gli fece la signora.
Tobi si accucciò in un angolo e cominciò a singhiozzare. Il suo bel sogno si era sbriciolato e le schegge erano volate dappertutto e si erano conficcate nel suo piccolo cuore.
Sentì improvvisamente una mano sulla spalla e una voce cordiale: «Perché piangi?»
Come risposta, Tobi singhiozzò ancora più forte: «Non avrò futuro, io…»
«Come ti chiami?» chiese la voce.
Tobi alzò gli occhi. La voce era di un uomo simpatico, vestito in modo buffo e con una tuba blu sulla testa. Era un mago, venuto con i volontari dei padri missionari, che nel cortile e talvolta perfino in chiesa faceva giochi di prestigio con le carte e sorprendenti dimostrazioni di abilità facendo sparire monete, moltiplicando candele e facendo uscire dal cappello tortore, conigli e fazzoletti lunghi un chilometro.
Tobi aveva visto i suoi spettacoli e, asciugandosi le lacrime, gli disse: «Ciao. Mi chiamo Tobi».
Il mago lo prese per mano.
«Vieni con me, Tobi. Forse troviamo qualcosa che ti può aiutare».
Il mago frugò nel suo furgone ed estrasse una specie di straccetto giallo. Lo collegò ad una bombola e lo straccetto si rivelò un magnifico palloncino giallo che subito si impennò puntando vero l’alto.
«Non mi scapperai!» disse il mago.
Svelto svelto legò il capo di un cordoncino all’imboccatura del palloncino e l’altro capo al polso di Tobi. Il palloncino era forte: riusciva a tirare verso l’alto il braccio di Tobi.
«Questo palloncino giallo è magico» spiegò il mago. «Il suo compito è essere messaggero dei sogni e dei desideri del suo padrone. Adesso il padrone del palloncino sei tu. Affidagli il tuo desiderio e vedrai».
Sorridendo, il mago se ne andò.
Tobi guardava il suo palloncino giallo che ondeggiava tranquillo nell’aria.
«Come faccio ad affidargli il mio desiderio?» Si sedette sul bordo della fontana e il palloncino gli diede una lieve tiratina. Di colpo capì quello che doveva fare.
Arrivò trafelato alla Missione e chiese di suor Rosa. Suor Rosa non era per niente rosa, ma di un bel color cioccolato. Accolse il piccolo con il suo sorriso paziente.
«Tobi, dove hai messo la maglietta che ti ho regalato?»
«La mia mamma la deve lavare. Ma ho bisogno di un grosso favore».
«Che cosa ti serve?»
«Mi devi scrivere un biglietto bello grande».
«Ce l’hai la carta?»
«No, ma la prendiamo nell’ufficio di Padre Mario».
«Corri, allora».
Tobi arrivò poco dopo sventolando un foglio bianco.
«Che cosa devo scrivere?» chiese suor Rosa.
«Scrivi: mi chiamo Tobia Khonde Kokolo e voglio andare a scuola. Ma non ho i soldi per l’iscrizione. Per favore. Mi servirebbe anche un quaderno e una matita. Grazie».
«A chi lo mandi?»
«Non lo so. Lo darò al palloncino giallo. Metti anche il tuo indirizzo. La mia casa non ha il numero!»
Suor Rosa sorrise indulgente e accontentò il piccolo. Compilò il biglietto, lo arrotolò e lo legò al cordoncino del palloncino giallo.
«Grazie. Grazie!» gridò Tobi, correndo via. Arrivato all’aperto, liberò il palloncino che schizzò verso il cielo.
Presto, fu solo un puntino giallo nell’azzurro.
«Mi raccomando, palloncino» disse Tobi. «Sei tu il mio futuro».
I giorni seguenti sembrarono lunghissimi al piccolo Tobi, che passava le giornate a scrutare il cielo.
«Tobi! Tobi!» Un giorno, si sentì chiamare. Era suor Rosa che sventola una busta gialla. «Il tuo palloncino ce l’ha fatta!»
La suora gli porse la busta «È per te!»
Col cuore che faceva tam-tam, Tobi aprì la busta. Conteneva una lettera e un foglietto più piccolo.
«Leggimelo, Suor Rosa. Che cosa c’è scritto?»
La Suora lo accarezzò e poi cominciò a leggere: «Carissimo Tobi, siamo i ragazzi della Scuola Luigi Einaudi di Torino. Il tuo palloncino è caduto nel nostro cortile e abbiamo letto il tuo messaggio. Tutti insieme abbiamo deciso di aiutarti. Rinunciando per una settimana alla merendina, abbiamo messo insieme duecento euro che ti mandiamo subito. Riceverai presto un pacco di quaderni e tutto quello che serve per scrivere. Una mamma ti ha anche preparato un bel grembiulino che riceverai presto. I nostri genitori hanno promesso che continueranno ad aiutarti. Purtroppo il tuo palloncino si è strappato e non possiamo rimandartelo. Ti abbracciamo tutti».
Tobi era così felice che piangeva a dirotto. Anche Suor Rosa aveva gli occhi umidi.
«Dov’è Torino?» chiese Tobi.
«Non lo so. Forse in Italia».
«E dov’è l’Italia?»
«In Europa» rispose Suor Rosa. Prese il foglietto più piccolo e disse: «Portalo alla signora della scuola. Vedrai che ti iscrive subito!»
Tobi sfrecciò verso la scuola con il foglietto in pugno e gridando: «Grazie, palloncino giallo! Grazie Torino! Grazie!»

Il gioco

dove sono le lancette?

Per i più grandi

What’s the time, Mister Fox? (IRLANDA)

I giocatori si dispongono uno accanto all’altro lungo la linea di centrocampo. Il conduttore raggiunge il fondo del campo e volta loro le spalle. Ciascun giocatore, restando dov’è, si gira nella direzione che preferisce e il gioco può avere inizio. A turno, i giocatori voltano la faccia verso il conduttore (in modo che non capisca da che parte sono girati…) e gli chiedono: «Che ore sono, Mister Fox?». Il conduttore risponde indicando un’ora («Le sei e venticinque!») e tutti i giocatori devono fare tanti passi quanto indica la lancetta delle ore nella direzione indicata dalla lancetta dei minuti. Naturalmente, la direzione che dovranno prendere sarà diversa per ognuno di loro, visto che in partenza sono voltati da parti differenti. Una volta fatti i passi richiesti, devono restare girati in quella direzione (che diventa la loro nuova direzione di partenza…). Man mano che il gioco va avanti, i giocatori costretti a uscire dal campo vengono eliminati. Se Mister Fox anziché indicare una certa ora risponde: «È ora di pranzo!», tutti i giocatori devono correre verso l’estremo del campo opposto a quello dove si trova lui, che partirà immediatamente al loro inseguimento, per cercare di toccarli prima che riescano a mettersi in salvo. Una penalità a chi viene toccato e a chi è stato eliminato in precedenza, dopo di che il gioco riprende con tutti i giocatori disposti di nuovo lungo la linea di centrocampo, voltati in direzioni diverse, e si conclude, dopo una decina di inseguimenti, assegnando la vittoria ai giocatori con meno penalità.

Per i più piccoli

Colora questo disegno e realizza un bel poster (cerca il significato con gli amici).

La preghiera del giorno

Gratitudine è sapere di essere ricchi e fortunati;
è sentire dentro
di avere tante cose belle
e di aver ricevuti tanti doni.
Non è solo dire «Grazie», è di più.
È vivere come se ogni gesto fosse un modo per dire grazie.
Abbraccio mamma e papà, rido con gli amici;
guardo stupito alla finestra,
penso a come sono bravo a giocare a calcio… e mi sento bene.
Godi delle ricchezze e dei beni, e delle fatiche; tutto è dono di Dio (Qoèlet 5,19)