La città dove aggiustano gli uomini

Il nocciolo della storia

Il racconto, attraverso i tradizionali simboli della favola fantastica, parla di una «città dove si aggiustano gli uomini». Non si tratta di un ospedale o una clinica, ma un posto dove si aggiustano gli uomini «rotti» totalmente. Per essere aggiustati, però, gli uomini devono osservare alcune «condizioni», senza le quali finiscono per essere anche peggio di prima.
In chiave religiosa, l’animatore può guidare i ragazzi a scoprire nei simboli fantastici, le allusioni al sacramento della Penitenza: è in effetti una «città dove si aggiustano gli uomini»; il peccato è in qualche modo una «rottura»: ci sono almeno cinque importanti «condizioni» da rispettare.

Nella foresta profonda e scura, c’era un villaggio dove viveva una vedova con una figlia sola, e questa figlia andava spesso a cogliere frutta e a cercare radici, perché non avevano mai abbastanza da mangiare…

Nella foresta profonda e scura, c’era un villaggio dove viveva una vedova con una figlia sola, e questa figlia andava spesso a cogliere frutta e a cercare radici, perché non avevano mai abbastanza da mangiare.
La madre aveva dato un solo consiglio alla figlia: «Stai lontana dal baobab! È la casa del diavolo!»
Mentre raccoglieva frutta, a un tratto scoppiò un forte temporale e la ragazza andò a ripararsi nel cavo di un baobab che con i rami sfiorava il cielo. Nel suo tronco, però, abitava un diavolo con unghie e zanne, che non volle più lasciarla andare: la ragazza gli piaceva, era tenera e grassoccia, aveva un buon odore e doveva essere molto buona da mangiare. Così il diavolo ne fece un boccone solo e risputò fuori le ossa, belle pulite.
La sera, la vedova chiamò la figlia, ma quella non veniva, così la madre andò a cercarla portandosi dietro una zucca piena d’olio, con uno stoppino acceso che serviva per illuminare la strada.
Guardò fra i bambù, e la ragazza non c’era.
Guardò in riva allo stagno, e la ragazza non si vedeva.
Guardò sotto i rami del baobab, ed ecco le ossa di sua figlia che piangevano e chiamavano.
La vedova le raccolse, le chiuse in una cesta e si mise in cammino: da qualche parte, nella foresta, c’era una città dove aggiustavano gli uomini, e lei voleva trovarla.
Andò sempre diritto e a un certo punto incontrò il Serpente, che le chiese: «Cosa c’è nella tua cesta, donna?».
«Ci sono le ossa di mia figlia, della mia unica figlia».
«E dove le porti?».
«Nella città dove aggiustano gli uomini».
«Allora ricordati che quando il sentiero si divide in due devi andare a sinistra e scordare la destra».
La donna così fece, e a un certo punto incontrò la Rana.
«Cosa porti nella tua cesta, donna?».
«Le ossa di mia figlia, della mia unica figlia».
«E dove vai di bello?».
«Nella città dove aggiustano gli uomini».
«Allora non scordare che quando il sentiero si dividerà in due sotto i tuoi piedi, dovrai andare a destra e scordare la sinistra».
La donna obbedì, ed eccola finalmente nella città dove aggiustano gli uomini.
Subito la gente di laggiù le chiese:
«Perché sei venuta fin qui?».
«II diavolo del baobab ha mangiato mia figlia: nella cesta ci sono le sue ossa».
«Non dire altro, lasciale a noi».
Dopo un paio d’ore, la figlia fu aggiustata come si deve, tanto che appariva molto più bella di prima.
Quando la restituirono alla madre, gli abitanti della città dissero: «Ora potete attraversare il nostro giardino. Mangiate tutta la frutta che volete, ma state lontano dai baobab».
Madre e figlia partirono felici. Nel giardino c’erano tanti tipi d’albero, che producevano frutti acerbi e striminziti. Ogni tanto però troneggiavano dei baobab carichi di squisitezze di ogni genere: frutta matura dai colori invitanti, dolci e canditi. Madre e figlia però si accontentarono della frutta acerba e da allora girarono sempre al largo dai baobab.
Quando le due se ne tornarono a casa, la loro vicina, che aveva una figlia finita nelle grinfie del diavolo, cominciò a tormentarle perché le dicessero come e dove la ragazza era riuscita a diventare così bella, e loro alla fine le raccontarono tutto.
«Dunque è così che si fa!» esclamò la vicina. Prese le ossa della figlia le mise in una cesta e andò.
Incontrò il Serpente, incontrò la Rana, e grazie a loro arrivò nella città dove aggiustano gli uomini. E, infatti, la figlia fu aggiustata.
Anche a lei gli abitanti della città dissero di attraversare il giardino e di non toccare i baobab.
Ma quando madre e figlia videro le squisitezze che pendevano dai baobab, cominciarono a mangiarne fino a non poterne più.
Così, al termine del giardino, la figlia era a pezzi, tanto che la madre si vergognava a camminarle vicino; e quando furono nella foresta la lasciò indietro, in modo che si perdesse e non trovasse più la strada del villaggio.
Corri e corri, la donna arrivò a casa, si chiuse dentro e si tirò la coperta sulla testa, fingendo di dormire. Ma la figlia ci mise poco a ritrovare la strada, e bussò alla porta finché le aprirono. La madre dovette tenersela e lo stesso dovete fare voi con questa storia, che forse non è così sciocca come sembra.

Il gioco

il gioco del grazie

Per i più grandi

Admiral (DANIMARCA)

In mezzo alla stanza vengono posate due sedie, a un metro di distanza una dall’altra. Le due squadre si schierano agli estremi opposti della stanza. Un giocatore per squadra viene nominato Admiral (Ammiraglio), tutti gli altri (le navi dell’Ammiraglio) vengono bendati. Al via, i due Admiral devono cercare di far passare le loro navi in mezzo alle due sedie e farle arrivare all’estremo opposto della stanza, guidandole unicamente con la voce. Non ci possono essere in giro più di tre delle proprie navi per volta. Se due navi (avversarie o amiche) si scontrano, si fermano per dieci secondi. Se una nave urta una delle due sedie, affonda ed esce dal gioco. Il gioco termina quando tutte le navi di uno dei due Admiral sono arrivate a destinazione o sono affondate. Vince la squadra che, a quel punto, è riuscita a far arrivare indenni a destinazione il maggior numero di navi.

Per i più piccoli

Din! Don! Dan! Den!

II conduttore chiama quattro giocatori e assegna a ciascuno di loro il suono di una delle quattro campane di Tuttiqwà (campane che, come tutti ben sanno, fanno: «Din! Don! Dan! Den!»). Un quinto giocatore (il campanaro Martino) si ferma a cinque passi dalle campane e il gioco ha inizio.
II conduttore comunica a Martino una sequenza di cinque suoni, che il campanaro deve ottenere colpendo con una palla di spugna le relative campane. Per far questo, deve non solo avere una buona mira, ma anche ricordarsi quale suono è abbinato ad ogni compagno. Le campane, ovviamente, non possono spostarsi per evitare di essere colpite. Quando una campana viene colpita, emette il proprio suono. Se la sequenza è esatta, il conduttore comunica a Martino altri sei suoni, poi, eventualmente, altri sette e così via, fermandosi al primo errore (di mira o di memoria) del campanaro. Il gioco viene poi ripetuto cambiando sia il campanaro, sia le quattro campane e così via.
Vince il campanaro che suona più campane prima di commettere un errore che lo costringa a smettere.

La preghiera del giorno

Gesù ha placato una
tempesta, ha guarito i malati,
ha ridato la vista ai ciechi.
Gesù cammina sulle acque del mare, non teme
neanche il diavolo,
Gesù tutto può, nulla gli è impossibile; Gesù è Dio.
Ti prego, Dio, anche per quel che mi sembra
impossibile da fare, ma sono sicuro che per te non lo è:
gli uomini vivano in pace, siano tutti amici, anche se diversi,
vivano come fratelli nella stessa casa che è il mondo.
Gesù, aiutami a volermi bene, ad amare gli altri.
Dona al mondo la pace; nulla ti è impossibile, Dio.