San Giorgio

Il nocciolo della storia

I santi sono gli eroi di Dio. Passano su questa terra facendo del bene e spesso donando la vita per amore degli altri. La leggenda di San Giorgio ci insegna quanta forza può donare il Signore a quelli che decidono di mettersi al suo servizio.

Giorgio era un coraggioso ufficiale dell’esercito romano. Cavalcava una volta nella provincia di Libia e passò per una città chiamata Silena…

Giorgio era un coraggioso ufficiale dell’esercito romano. Cavalcava una volta nella provincia di Libia e passò per una città chiamata Silena. Nelle vicinanze di quella città vi era una palude grande quanto il mare, in cui si nascondeva un drago pestifero. Più di una volta aveva messo in fuga la popolazione che gli era andata incontro armata, e quando si avvicinava alle mura della città uccideva tutti con il suo fiato.
Gli abitanti furono costretti a dargli ogni giorno due pecore, per placare la sua furia, altrimenti si sarebbe avvicinato alle mura della città e avrebbe tanto appestato l’aria che molti ne sarebbero morti.
Ad un certo punto però le pecore vennero a mancare, e poiché non vi era modo di averne a sufficienza, si giunse alla conclusione di dare una pecora e un uomo. Ogni ragazzo e ragazza era estratto a sorte, senza eccezioni. Ormai quasi non ne rimanevano quando la sorte cadde sull’unica figlia del re, che venne destinata al drago.
«Prendete l’oro e l’argento e la metà del mio regno, – disse il re angosciato – ma restituitemi mia figlia, che non muoia di una morte così orribile».
Ma il popolo inferocito rispose: «Sei tu, re, che hai fatto questo editto; e ora che tutti i nostri figli sono morti, tu vuoi salvare tua figlia? Se non farai a tua figlia ciò che hai fatto fare ai nostri, bruceremo te e la tua casa».
A queste parole il re cominciò a piangere sua figlia, e disse al popolo: «Vi chiedo di concedermi otto giorni per piangere mia figlia. Il popolo glieli concesse, ma trascorsi gli otto giorni ritornarono e con rabbia dissero al re: «Perché vuoi perdere il tuo popolo per salvare tua figlia? Stiamo morendo tutti per il fiato del drago».
Allora il re, vedendo che non sarebbe riuscito a salvare la figlia la vestì con gli abiti regali, e
abbracciandola le disse: «Come avrei preferito, figlia mia, morire prima di te piuttosto che perderti in questo modo!»
Allora la giovane cadde ai piedi del padre chiedendogli la sua benedizione: avendola il padre benedetta fra le lacrime,
si diresse verso il lago.
È proprio là che la vide il buon Giorgio, che stava passando da quelle parti, e vedendola piangere le chiese che cosa avesse.
«Buon giovane» gli rispose gentile la principessa «sali svelto a cavallo e fuggi, altrimenti morirai con me».
«Non temere» disse Giorgio «dimmi piuttosto che cosa fai di fronte a tutta questa gente che sta a guardare».
«Vedo, buon giovane, che il tuo cuore è generoso, ma vuoi morire con me? Fuggi in fretta» gli disse la fanciulla, tra i singhiozzi.
«Non me ne andrò di qui» rispose Giorgio «finché non mi avrai detto ciò che hai».
Quando la giovane ebbe raccontato tutto, Giorgio disse: «Non temere, io ti aiuterò nel nome di Cristo».
La figlia del re insistette: «Buon cavaliere, cerca di salvarti in fretta, o morirai con me. Basta che muoia io. Tanto non potrai liberarmi, e moriresti inutilmente con me».
Mentre parlavano, il drago sollevò la testa dal lago, pronto ad avvicinarsi. *
Allora la ragazza terrorizzata disse: «Fuggi, buon signore, fuggi svelto!».
Ma Giorgio salì a cavallo, impugnò una croce con una mano e la sua robusta lancia con l’altra, si calò la visiera dell’elmo sugli occhi e con grande audacia si preparò ad affrontare il drago che gli veniva incontro con le orrende fauci spalancate. Con la pressione delle gambe, Giorgio spronò il cavallo e si gettò contro il drago con tutto il suo impeto e conficcò la lancia nella gola del drago, gridando a gran voce: «Nel nome del Signore, l’Altissimo e Onnipotente!»
Il drago sorpreso e ferito gravemente si accasciò a terra. Giorgio disse alla ragazza:
«Gettagli al collo la tua cintura, bambina, senza aver paura!»
La principessa lo fece e il drago si mise a seguirla come un cagnolino. Lo condussero in città, e la gente vedendolo incominciò a fuggire sui monti e sulle colline e si lamentava: «Ahimè, moriremo tutti!»
Ma san Giorgio li richiamò dicendo: «Non temete, il Signore mi ha mandato da voi proprio perché vi liberassi dal drago: dunque credete in Cristo e io ucciderò questo drago».
Il re e il popolo promisero e san Giorgio, sguainata la spada, uccise il drago e lo fece portare fuori della città.
Quattro coppie di buoi lo portarono fuori in un grande campo, e in quel luogo, anni dopo, il re fece costruire una chiesa di straordinaria grandezza, in onore della Madonna e di san Giorgio. Dall’altare di questa chiesa sgorga, ancora oggi, una viva fonte, la cui acqua risana gli ammalati che la bevono.
Il re offrì un’enorme somma di denaro a Giorgio, ma egli la rifiutò e volle invece che fosse distribuita ai poveri. E, povero e solitario, come era arrivato, riprese a cavalcare verso Oriente.

Il gioco

il gioco del grazie

Per i più grandi

Gira, gira, gira…

A turno, i giocatori devono far rotolare intorno al proprio corpo, all’altezza della pancia, una pallina da ping pong, tenendo le mani bene aperte e facendo sì che la pallina non si stacchi mai dal corpo. Chi chiude (anche solo un po’…) le mani per impedire alla pallina di cadere, deve restare fermo per cinque secondi prima di poter riprendere il gioco. Si ferma invece per dieci secondi chi lascia che la pallina si stacchi (anche solo di qualche millimetro…) dal proprio corpo. In entrambi i casi, dopo la sosta la pallina deve ripartire dal punto in cui è stata commessa l’infrazione. Vince il giocatore che, per primo, riesce a far fare alla pallina dieci giri interi del proprio corpo

Per i più piccoli

Giù le torri!

Si traccia a terra un cerchio di un metro e mezzo di diametro e si spargono al suo interno una decina di cilindri di cartoncino (la parte interna dei rotoli della carta igienica, per esempio…), disponendoli in verticale, in modo che stiano in piedi. I giocatori, a turno e stando a un passo di distanza dal cerchio, lanciano una moneta, cercando di buttare a terra uno o più cilindri. I lanci possono essere effettuati da qualsiasi punto intorno al cerchio (a scelta del lanciatore di turno…), purché venga mantenuta la distanza di un passo dal suo bordo. Chi butta a terra due o più cilindri con lo stesso lancio guadagna tanti punti quanti sono i cilindri abbattuti meno uno. Chi fallisce il lancio riceve una penalità. Chi butta giù un solo cilindro non guadagna punti né riceve penalità. I cilindri vengono lasciati a terra finché non è stato abbattuto anche l’ultimo. Solo a questo punto vengono rimessi in piedi tutti quanti. Il gioco termina quando tutti i cilindri sono stati abbattuti tre volte. Vince il giocatore che conclude il gioco con il punteggio finale (punti guadagnati meno penalità ricevute) più alto.

La preghiera del giorno

Oh, buon Dio,
A volte mi sembra che non ci sia niente di giusto
e non so più dove sei.
Eppure, eccoti qui.
Oh, Dio, sei ancora qui!
Perché dovrei avere paura, Signore?
Tu sei la mia luce!
Tu sei la fortezza della mia vita!
Signore, resta con me
ogni giorno della mia vita.