Tre tristi re

Il nocciolo della storia

■ II racconto ha quell’andamento irreale e quasi umoristico che piace ai ragazzi, che di solito intuiscono che nella trama così poco realistica si nasconde una intenzione didattica. E sono portati a chiedersi: «Che cosa vuoi dire?».

■ Tre re, tetri e prepotenti per di più, sono troppi per un piccolo regno! Davanti a questo triplo e opprimente potere, la popolazione si sottomette. Fino al giorno in cui la piccola Chiara decide di farla finita con il gioco della sottomissione.
La storia ricorda che con un po’ di coraggio, condito con buon senso e un pizzico di umorismo, si possono distruggere e domare le tristi forze dispotiche che ci governano: invidia, egoismo, paura degli altri, noia, testardaggine e pigrizia.
Il piccolo regno allora siamo noi. Anche noi abbiamo dei «tristi re» che condizionano la nostra vita.
Finché non ce ne liberiamo (e per farlo spesso basta un «piccolo» impegno), non potremo veramente essere felici e realizzati.

Tanto tempo fa, vivevano in una piccola fattoria un contadino, sua moglie e i loro sette figli. Avevano tutti i capelli rossi come le carote, gli occhi verdi come i piselli, le guance color pesca matura, ma sempre sporche perché non avevano il tempo di lavarsi…

Tanto tempo fa, vivevano in una piccola fattoria un contadino, sua moglie e i loro sette figli. Avevano tutti i capelli rossi come le carote, gli occhi verdi come i piselli, le guance color pesca matura, ma sempre sporche perché non avevano il tempo di lavarsi.
Non avevano il tempo perché dovevano sempre lavorare, tutto il giorno e anche parte della notte.
Il fatto è che in quel piccolo regno, invece di un solo re, ce n’erano tre.
E questo provocava un grosso aumento di lavoro e di fatiche per i sudditi: tutto si moltiplicava per tre.
Tutte le sere, tornando a casa stanchi morti dai campi, i contadini sospiravano: «Ma che sfortuna avere tre re! Ah, se i topi li rosicchiassero o una tromba d’aria li portasse via, come saremmo felici in questo paese!».
I tre re, che erano fratelli, vivevano oziosamente nello stesso palazzo, ma ciascuno a un piano diverso perché si detestavano ed erano gelosi l’uno dell’altro.
Ciascuno aveva paura di avere meno cose degli altri due: meno vino o meno patatine, meno gioielli o meno vestiti, meno cani o meno cavalli. Non erano mai contenti, mai soddisfatti, mai felici e in tutto il paese li chiamavano i tre tristi re.
Quella sera, nella piccola fattoria, la povera contadina lavorava ancora di più del solito: era di nuovo arrivato il suo turno di preparare e portare un buon piatto a ciascuno dei tre re. Sfacchinò tutto il giorno a scegliere, pelare, rosolare, mescolare, infornare, cuocere, friggere. Quando i tre piatti furono pronti, li sistemò dentro un cesto, poi chiamò Chiara, la figlia più piccola: «Chiaretta, smetti un momento di sbucciare le patate e porta la cena
ai re. Ma stai ben attenta a quel che devi dire, piccola. Al primo re dirai: — Graziosissimo Sire, ecco, con i complimenti di mia madre, questo petto di tacchino all’arancia. Al secondo re dirai: — Gentilissimo Sire, ecco, con i complimenti di mia madre, questa testa di cinghiale ripiena di cocco al Madera. E al terzo dirai: — Carissimo Sire, ecco, con i complimenti di mia madre, questo salmone in crosta croccante. Ricordati la riverenza e l’inchino. E soprattutto non ti sbagliare».
Lungo il tragitto, Chiara pensava: «Purché non dimentichi niente, né i piatti, né i re, né i complimenti!»
Intanto il cielo si fece arancione e il sole si nascose dietro le colline. Chiaretta, che camminava più in fretta che poteva con il suo cesto pesante, cominciò a preoccuparsi: «Accidenti, mi dimenticherò qual è il re gentilissimo e per chi è il salmone. Se mi sbaglio, i re faranno demolire la nostra casa o ci getteranno tutti in prigione. Vediamo, c’è un petto di tacchino croccante, e poi?».
Povera Chiara. Era già buio quando arrivò alla cancellata del palazzo reale. Dalle finestre aperte e illuminate, scorse i tre re, uno per piano del grande palazzo.
Le tre teste coronate pencolavano sui piatti dorati. Certamente si chiedevano chi dei tre avrebbe mangiato il piatto migliore.
Allora Chiara scrollò le spalle e disse: «Dopo tutto, che importa se mi sbaglio! Ne ho abbastanza di questi re, tiranni e fannulloni!».
La bambina si sentì piena di coraggio e pensando: «Eh sì, è proprio ora di finirla!», entrò risoluta nel palazzo e bussò alla regale porta del primo piano.
Incontrò il primo re che era seduto a tavola e aspettava picchiettando nervosamente il piatto con le dita.
Ma invece di dire: «Graziosissimo Sire, ecco, con i complimenti di mia madre, questo petto di tacchino all’arancia», Chiara disse: «Triste Sire, ecco i complimenti di tuo fratello: tu sei un pezzo di cretino tutto pancia!».
Sentendo queste parole, il re divenne tutto paonazzo e quasi si strozzò per la rabbia, rovesciò il suo trono di madreperla e urlò: «Olà, miei fidi soldati, accorrete presto! Mio fratello mi ha insultato: andiamo a lavare l’onta nel sangue!».
Mentre i soldati cercavano le armi, Chiara arrivò dal secondo re, ma invece di dire: «Gentilissimo Sire, ecco, con i complimenti di mia madre, questa testa di cinghiale ripiena di cocco al Madera», disse: «Triste Sire, ecco un complimento di tuo fratello: sei uno sciocco con la testa fatta a pera!».
Sentendo queste parole il re saltò dal suo trono di pietre preziose e, verde di bile, cominciò a sbraitare: «A me gli armigeri e le guardie reali! Mio fratello mi ha insultato! Andiamo a lavare l’onta nel sangue!».
Approfittando della confusione, Chiara salì al terzo piano, ma invece di dire al terzo re: «Carissimo Sire, ecco, con i complimenti di mia madre, questo salmone in crosta croccante», disse: «Triste Sire, ecco i complimenti di tuo fratello: sei un salame tonto e ignorante».
Sentendo queste parole, il re diede un calcio al suo trono di perle e, nero di furore, cominciò a gridare: «All’armi, miei fidi scudieri! Accorrete con le armi in pugno! Mio fratello mi ha insultato, andiamo a lavare l’onta nel sangue!».
Lesta lesta Chiaretta fece appena in tempo a scendere di un piano e a nascondersi dietro a una porta. Il primo re saliva mentre il secondo scendeva. Si incontrarono sul pianerottolo e cominciarono a duellare con le loro spade d’argento.
Clic, ciac! Sdend, patac! I due tristi re picchiavano sodo. Dalla porta semichiusa, Chiara sbirciava la scena trattenendo il fiato. I due re avevano completamente dimenticato di essere fratelli: la meschinità e la prepotenza dei loro cuori li avevano accecati. A un certo punto, con una mossa improvvisa, si infilzarono a vicenda e crollarono esanimi al suolo.
Chiara si impossessò delle due spade e, prendendone una per mano, si avviò per le scale.
Quando il terzo re vide i due fratelli stesi per terra e la bambina con le due spade in mano, pensò che fosse stata lei a ucciderli e si gettò ai piedi di Chiara supplicando: «Non mi uccidere, per piacere, non mi uccidere!».
«Vediamo un po’», esclamò Chiara, minacciandolo con il piccolo indice, «potremo dormire tutta la notte senza dover lavorare?».
«Sì, sì!», gridò il re. «Vi auguro la buona notte fin d’ora!».
«E potremo mangiare con calma, come persone civili?».
«Sì, sì», gridò il re. «Vi auguro buon appetito fin d’ora!».
«E pagare meno tasse?».
«Sì, sì!», gridò il re. «Patti chiari, amicizia lunga!».
«In questo caso», concluse Chiaretta, «vi regalo le spade. Arrivederci».
«Arrivederci e grazie», disse il re.
Da quel giorno, nel regno e nella piccola fattoria furono tutti felici e contenti.
Quando scendeva la sera, il contadino e sua moglie guardavano i loro bambini e pensavano sorridendo: «Come sono belli tutti e sette, con i loro capelli rossi come le carote, gli occhi verdi come i piselli e le guance color pesca matura!».

Il gioco

il gioco del grazie

Per i più grandi

Lo scoiattolo e la volpe

Gioco movimentato, da fare in uno spazio ampio. Un giocatore viene nominato scoiattolo e riceve una noce. Un altro viene nominato volpe e resta a mani vuote. Tutti gli altri si spargono per il campo divisi a coppie e rappresentano gli alberi del bosco. I giocatori di ogni coppia si girano l’uno verso l’altro, uniscono le loro mani e alzano le braccia, creando così un rifugio sicuro per lo scoiattolo. Al via lo scoiattolo scappa, inseguito dalla volpe che cerca di toccarlo. Lo scoiattolo può mettersi momentaneamente in salvo rifugiandosi al riparo di un albero. Una volta lì, può poi riprendere a scappare oppure, se è stanco di correre, consegnare la noce a uno dei due giocatori che gli hanno offerto rifugio, scambiandosi con lui di posto e di compiti. Se la volpe cattura lo scoiattolo, i due si scambiano di posto e di compiti con una coppia di compagni-albero, scelta dalla volpe. Vince chi si diverte di più.

Per i più piccoli

Un altro bel poster sulla Sacra Famiglia di Nazaret.

La preghiera del giorno

Gesù, aiutami a diffondere ovunque
il tuo profumo, ovunque io passi.
Inonda la mia anima del tuo Spirito
e della tua vita.
Invadimi completamente e
fatti maestro di tutto il mio essere
perché la mia vita
sia un’emanazione della tua.
Illumina servendoti di me
e prendi possesso di me a tal punto
che ogni persona che accosto
possa sentire la tua presenza in me.
Allora risplenderò del tuo splendore
e potrò fare da luce per gli altri.
Ma questa luce avrà la sua sorgente
unicamente in te, Gesù:
sarai tu a illuminare gli altri servendoti di me.