La storia di Pezzettino

Il nocciolo della storia

Oggi, gli educatori sono tenuti ad una accentuata attenzione nei confronti della socializzazione secondaria e dell’inserimento dei bambini in un gruppo o comunità. I bambini «allevati in appartamento» hanno scarse possibilità di incontro con coetanei.
La fiaba di Pezzettino serve ad una riflessione sull’importanza e sui pericoli del «far parte».
Il piccolo pezzo di puzzle scopre la propria identità in un processo lungo e paziente di confronto con gli altri.

Gli altri, con le loro reazioni, ci aiutano a scoprire noi stessi. Inoltre Pezzettino trova anche la situazione ideale del gruppo di amici: quella in cui tutti sono in qualche modo complementari, e le qualità proprie di ciascuno (il pezzo della tigre) contribuiscono al raggiungimento e alla costruzione di un obbiettivo comune.
Quella di Pezzettino è una ricerca non facile. Sulla strada dell’amicizia e dell’identità sono in agguato ostacoli e disinganni. Ci sono individui chiusi e refrattari ad ogni rapporto vivo (il sasso), relazioni soffocanti (la pozzanghera), persone che amano pungere e ferire (il riccio), «amicizie cattive» (la banda dei pezzi di vetro). È importante saper riconoscere e valutare con un certo distacco le amicizie e i gruppi di cui si fa parte. Per questo i bambini hanno bisogno dell’aiuto degli educatori. Né tutto questo è automatico: ogni persona umana ha bisogno di imparare che cosa significa «far parte», partecipare. Ma questo è molto complicato in un mondo che esalta l’individuo e la competizione come l’attuale.

C’era una volta un piccolo pezzo di un «puzzle» di cartone che era scivolato dietro un frigorifero e che nessuno era più riuscito a trovare.
Era un pezzo di puzzle molto grazioso: aveva la forma di un omino e portava sul dorso un curioso disegno giallo, marrone, rosso e bianco.

C’era una volta un piccolo pezzo di un «puzzle» di cartone che era scivolato dietro un frigorifero e che nessuno era più riuscito a trovare. Era un pezzo di puzzle molto grazioso: aveva la forma di un omino e portava sul dorso un curioso disegno giallo, marrone, rosso e bianco.
Stava da così tanto tempo dietro il frigorifero che aveva dimenticato che cos’era.
Perché i pezzetti di puzzle hanno la memoria corta.
Perciò aveva deciso di chiamarsi «Pezzettino». Lo aveva deciso guardandosi intorno: tutti gli altri che vedeva erano chiaramente «loro», degli oggetti ben definiti. Il tavolo era il tavolo, la sedia era la sedia, perfino il gatto era il gatto. Ma lui cos’era?
«Sono certamente il pezzetto di qualche cosa. Ma di che cosa?».
Così decise di partire per scoprirlo.
Con le sue gambette tonde uscì in giardino. E cominciò la sua ricerca.
La prima cosa in cui si imbatté fu un grosso sasso.
«Salve», disse Pezzettino al sasso.
«Salve», brontolò il sasso.
«Fa freddino, eh?», continuò Pezzettino senza scoraggiarsi.
«Io non sento niente», rispose il sasso, scostante.
«Hai voglia di fare due passi?».
«Io non mi muovo mai!».
«Vuoi dire che stai sempre lì?».
«Esatto!».
«Per caso, ti manca qualcosa?».
«No. Una pietra è una creatura perfetta. Non manca di niente».
«Neanche un pezzettino…». E il piccolo pezzo di puzzle sussurrò piano: «… come me?».
«Vattene! Io non ho bisogno di niente e di nessuno».
Impaurito dal tono della pietra, Pezzettino fece un rapido dietro-front. E ricominciò a vagare per il giardino per trovare la cosa a cui mancava un pezzetto proprio come lui.
Cammina, cammina (in realtà fece pochi centimetri, ma se guardate bene, le gambe dei pezzi di puzzle sono proprio minuscole), arrivò sul bordo di una pozzanghera.
Era una bella pozzanghera di acqua sporca. Dovete sapere che, nel regno delle pozzanghere, quelle di acqua sporca sono ritenute le più belle perché riescono a riflettere le stelle e le nuvole.
«Buongiorno», disse Pezzettino.
«Ehilà, sgorbietto, come va?», rispose la pozzanghera. Le pozzanghere non sono beneducate e amano molto fare scherzi e inzaccherare il prossimo. Si piazzano apposta sotto le ruote delle automobili, per schizzare sui passanti quando questi meno se l’aspettano.
«Scusami», continuò Pezzettino, «sono un pezzetto di te?».
«Uhm…», borbottò la pozzanghera, «perché no? Vieni dentro che c’è posto!».
«Ah, che bello!», gridò Pezzettino, «sono un pezzo di pozzanghera». E si tuffò.
Appena dentro la pozzanghera, però, cominciò a rammollirsi e a soffocare. «Aiuto, affogo!», gridava disperato. Si dibatteva, cercava di stare a galla, ma l’acqua lo attirava inesorabilmente verso il basso. Il misterioso disegno che portava sul dorso cominciava a svanire.
«Aiuto, salvatemi!».
La pozzanghera sogghignava: «Povero illuso! Sei solo un pezzo di cartone, sgorbietto!».
Ma un merlo, che stava facendo colazione nel prato con la sua signora, si impietosì e con il lungo becco giallo pescò Pezzettino nella pozzanghera e lo stese ad asciugare sopra una margherita.
I raggi del sole e una brezza dolce dolce asciugarono Pezzettino, che fu ben presto in grado di riprendere la sua ricerca.
Cammina cammina, Pezzettino arrivò nei pressi di una forma tondeggiante, irta di puntine e con una piccola porticina.
«Come ti chiami?», chiese Pezzettino.
«Riccio di Castagno», rispose l’altro.
«Un bel nome», disse Pezzettino. E fece la sua domanda anche al riccio di castagno. Il riccio non ci pensò molto.
«Ma certo! Sentivo tanto la tua mancanza! Sono sempre solo quaggiù e non ho nessuno con cui giocare!».
«Che bello!», esclamò Pezzettino. «Sono un pezzetto di riccio!».
«Dai abbracciamoci e poi giochiamo insieme», gli fece eco il riccio.
Pezzettino si buttò verso il riccio, ma… «Ahia!», Pezzettino si sentì pungere dappertutto. Ci riprovò, ma… «Ahia!». Non c’era niente da fare. Il riccio aveva spine pungenti dappertutto.
«Adesso capisco perché non hai amici», disse mestamente Pezzettino. « Se sto con te divento un colino. Credo proprio di non essere un pezzetto di te».
Disse addio al riccio e, per nulla scoraggiato, riprese a vagare per il giardino alla ricerca della cosa a cui mancava un pezzo uguale a luì.
Una serie di sfacciati luccichii richiamò la sua attenzione. Si diresse da quella parte e si ritrovò in mezzo ad una combriccola di pezzi di vetro colorati che si divertivano a giocare con i raggi del sole.
«Ehi, amici!».
«Ciao!», risposero quasi all’unisono, ma non gli fecero troppo caso.
«Non sono per caso un pezzetto della vostra banda?», chiese Pezzettino speranzoso perché quei pezzi di vetro gli sembravano divertenti e simpatici.
«Può darsi», disse il più grosso.
«Allora posso restare?».
«Resta».
Pezzettino cominciò a giocare con i suoi nuovi fratelli, ma…
«Sei proprio una schiappa!», gli gridò il pezzo di vetro con cui cercava di giocare a ping-pong con i raggi di sole. La superficie di Pezzettino non rifletteva un bel niente, anche se lui ci metteva tutta la buona volontà possibile. Inoltre il suo disegno giallo, marrone, rosso e bianco rimaneva incomprensibile e il piccolo pezzo di puzzle si sentiva un po’ a disagio.
Uno dei pezzi di vetro, che stava di vedetta, ad un tratto gridò: «Arriva, ragazzi!».
Una ventata di eccitazione percosse i pezzi di vetro. Smisero immediatamente di giocare e si disposero in modo da avere la parte tagliente verso l’alto. Pezzettino si accorse di non avere nessuna parte tagliente e rimase lì in mezzo, esitante, a vedere che cosa succedeva.
«Un grosso premio a chi lo buca al primo colpo!», disse il pezzo di vetro più grosso.
Bucare, ma cosa?
Poi Pezzettino capì. I pezzi di vetro si trovavano in mezzo ad un sentiero, qui quale stava arrivando una bicicletta.
«Ma perché?», esclamò invano Pezzettino. La bicicletta arrivò sui pezzi di vetro e… Pluf!
«Oh, no!», disse il bambino. Scese dalla bicicletta e contemplò con aria afflitta il piccolo pneumatico che si era rapidamente sgonfiato. Mentre faceva questo, il suo sguardo si fissò su Pezzettino.
«Guarda che non sono stato io!», gridò con tutte le sue forze Pezzettino.
Il bambino non conosceva la lingua dei pezzi di puzzle, perciò lo afferrò e corse in casa gridando: «Mamma, mamma! L’ho trovato! Ho trovato il pezzo del mio puzzle! ».
Come succede ai bambini, aveva già dimenticato la bicicletta bucata per la gioia di aver ritrovato il pezzo di puzzle smarrito.
Un istante dopo, Pezzettino si trovò abbracciato a tanti pezzetti come lui e, con immensa gioia, capì che la sua ricerca era finita. Ora sapeva chi era! Ora avevano un significato anche le macchie colorate sul dorso: il giallo e il marrone erano parti del muso di una tigre, il rosso e il bianco erano denti e bocca spalancata.
Tutti insieme, i piccoli pezzi formavano una magnifica tigre nella giungla.
«Benvenuto! Ti aspettavamo!», gridarono in coro gli altri pezzetti del puzzle. «Ci mancavi tanto!».
«Anche voi mi siete mancati tanto, fratellini miei», disse Pezzettino al colmo della felicità.

Il gioco

il gioco del grazie

Per i più grandi

Sfruttando, con un po’ di fantasia, l’idea del puzzle sono possibili diversi cartelloni-messaggio. Per esempio: un cartellone con il puzzle di tutte le fotografie dei componenti della classe e una scritta del tipo: «Se mancassi tu non sarebbe la stessa». Non mancano neppure i giochi che servono a costruire relazioni amichevoli e a «far gruppo». Può essere utile, soprattutto per creare un clima di amicizia, il seguente.

La palla di stracci

La maestra porta in classe una palla di stracci o di spugna. È essenziale che sia leggerissima. I ragazzi si dispongono in cerchio. La palla deve passare a tutti, ma senza un ordine preciso. Ognuno tira la palla a uno qualunque dei compagni. Comincia la maestra. Nel primo giro chi riceve la palla deve dire «qualcosa di carino su se stesso», cioè quello che pensa di donare alla classe. Nel secondo giro, chi riceve la palla deve dire le «cose carine» dette nel primo giro da chi gli ha tirato la palla.
Chi si è dimenticato deve far una penitenza: così impara ad ascoltare quello che dicono gli altri.

Per i più piccoli

Questi due giochi per due o tre persone sono attività ideali per gruppi numerosi di bambini.

Una persona «sta sotto». Gli altri incominciano a saltellare, a camminare o a strisciare per il cortile o la stanza. Quando questa dice «fermi», tutti gli altri giocatori devono mantenere la posizione come statue, non importa quanto strana sia. Il primo a rompere la sua posizione di statua, diventa chi «sta sotto» nel turno successivo.

La preghiera del giorno

Oggi sono arrabbiato;
domani forse sarà diverso, ma adesso lasciatemi in pace!
Sono arrabbiato perché ho ragione io,
ma mi sono preso la sgridata della maestra.
Per colpa di un altro, sono finito io nei guai.
Uffa! Perché è così difficile andare
d’accordo?
Perché gli altri sono sempre
più furbi di me?
Aiutami, Dio, a perdonare,
aiutami a dimenticare
i torti ricevuti;
fa’ che io sappia essere
amico di tutti.
Aiutami, Dio,
a non arrabbiarmi.