Le disavventure di Umberto

Il nocciolo della storia

Umberto è un bambino buono e ubbidiente, ma scopre dolorosamente che questo non basta per non sbagliare. Ci vuole qualcos’altro. Deve imparare a riflettere, valutare, ragionare con la propria testa prima di agire. Ubbidisce veramente chi fa proprie le ragioni di chi ordina.

Il piccolo Umberto si svegliò al mattino al canto del gallo. Che giorno, quello! Era un giorno di vacanza e poteva andare da solo a trovare la nonna che abitava in campagna. Si vestì in fretta e furia, si lavò buttandosi un po’ d’acqua in faccia, finse di lavarsi i denti e si precipitò a tavola…

Il piccolo Umberto si svegliò al mattino al canto del gallo. Che giorno, quello! Era un giorno di vacanza e poteva andare da solo a trovare la nonna che abitava in campagna. Si vestì in fretta e furia, si lavò buttandosi un po’ d’acqua in faccia, finse di lavarsi i denti e si precipitò a tavola. Ingoiò latte e biscotti a velocità supersonica e gridò: «Ciao, mamma. Vado da nonna!»
«Salutala da parte mia. E fai attenzione con la spesa!»
«Tranquilla, mamma! Sarò un angelo».
Sgambettando attraverso le villette e gli orti, Umberto arrivò davanti alla casetta della nonna. La nonna era grande e grossa, rideva forte, sapeva tante cose e aveva un buon odore di crema e marmellata.
«Benvenuto, Umberto!» disse dalla finestra quando vide il nipotino.
Umberto corse dentro e l’abbracciò: «Buongiorno, nonnina. Ti porto i saluti della mamma».
«Grazie. Ecco, ti ho preparato il biglietto per la spesa. Stai attento a non perdere i soldi».
Umberto partì di corsa. Il supermercato era appena a cinquecento metri, ma lui era felicissimo di prendere il carrello e passare tra gli scaffali prendendo le cose che servivano alla nonna tra le quali non mancava mai qualcosina per lui come un ovetto di cioccolata con la sorpresa dentro. Certo, il ritorno con la borsa pesante era un po’ più faticoso, ma il pranzo della nonna valeva ampiamente la fatica. Senza contare che la nonna lasciava sempre il resto ad Umberto.
Dopo pranzo, Umberto e la nonna giocavano a carte e la nonna lasciava sempre vincere il nipotino che strillava di gioia ad ogni vittoria. Dopo merenda, Umberto baciò la nonna per tornare a casa, ma la nonna gli porse un involtino: «Porta questo dolce di mandorle a casa, per mamma e papà»
«Grazie, nonna. Lo metto nel mio zaino».
«No, si schiaccerebbe tutto. E’ meglio se lo tieni in mano. Non lo lasciare cadere, eh!»
Per la strada, Umberto tenne il pacchettino con molta attenzione, ma la pressione delle sue cinque dita sbriciolò il povero dolce, mentre il ripieno cominciava a colare dalla carta e lasciava una scia per terra. Quando lo vide arrivare, la mamma appoggiò le mani sulle anche e sbarrò gli occhi: «Umberto, che cosa mi porti?»
«Un dolce di mandorle, che ti manda nonna».
La mamma scosse la testa.
«Umberto, Umberto! Che ne hai fatto del buon senso che ti ho dato alla nascita? Per portare un dolce devi avvolgerlo in carta d’alluminio, metterlo nel cappello e posare il cappello in testa. Hai capito?»
«Sì, mamma»
Il sabato seguente, Umberto tornò dalla nonna. Faceva talmente caldo che la nonna non riusciva neanche ad alzarsi dalla poltrona preferita. Ringraziò Umberto e gli diede la lista della spesa
Umberto corse al Supermercato e fece tutto con molta attenzione. Era veramente un bambino attento e ubbidiente. Dopo la spesa, sudato e soddisfatto fece merenda con pane e miele.
Prima della partenza, la nonna consegnò a Umberto un grosso pezzo di burro che veniva dalla fattoria vicina. «Portalo alla mamma. Fa’ attenzione!»
«Non temere, nonna. Sono un bambino molto giudizioso»
Umberto, ricordando i consigli della mamma, avvolse con cura il burro in carta d’alluminio e poi se lo mise sotto il cappello. E il cappello sulla testa.
Ma siccome faceva un gran caldo, il burro cominciò a fondere e rivoli giallastri presero a scorrere giù per il volto, il naso e il collo di Umberto.
Quando lo vide arrivare la mamma si bloccò, si mise le mani sui fianchi e sbarrò gli occhi: «Umberto! e cosa mi porti?»
«Un bel pezzo di burro di fattoria che ti manda la nonna».
«Umberto, Umberto! Che ne hai fatto del buon senso che ti ho dato alla nascita? Per portare il burro lo devi avvolgere in foglie fresche e lungo la strada lo devi immergere ogni tanto in acqua fresca alle fontanelle. Hai capito?»
«Sì, mamma».
La settimana seguente, pioveva a dirotto, ma Umberto si infilò gli stivali e la mantellina e fece ugualmente visita alla nonna. La nonna lo vide con molto piacere e gli preparò una doppia merenda. Poi gli disse: «Mentre mangi, vado a fare una commissione dalla vicina di casa».
Al ritorno, la nonna stringeva fra le mani qualcosa di morbido che uggiolava debolmente. Lo porse a Umberto e disse: «E’ per te!»
Era un piccolo delizioso cagnolino bianco.
«Grazie, grazie!» esclamò Umberto stringendolo al petto. «Un milione di grazie!»
«E’ molto piccolo, fai attenzione durante il viaggio».
«Stai tranquilla, nonna. Sono un bambino giudizioso e ubbidiente».
Ricordando le parole della mamma, Umberto raccolse alcune foglie e avvolse il cagnolino. Alla prima fontanella lo immerse con molta cura nell’acqua. Il povero cagnolino guaì, bevve, tossì, sputò. Umberto ripeté l’operazione altre tre volte e quando arrivò a casa il cagnolino era ridotto in uno stato pietoso, con il pelo fradicio e arruffato, gli occhi gonfi e rossi.
«Umberto, che cosa mi hai portato?»
«Un cagnolino bianco, bellissimo».
«Ah, Umberto! Che ne hai fatto del buon senso che ti ho dato alla nascita? Per portare un cagnolino, devi posarlo per terra e attaccare una cordicella al suo collo e tener ben saldo l’altro capo in mano. Hai capito?»
«Sì, mamma».
Una settimana dopo, un gran vento spazza la terra e solleva nuvole di polvere. Umberto arrivò alla casa della nonna con gli occhi arrossati dalla polvere.
«Umbertino mio, prima di andare a fare la spesa fatti una bella doccia!» disse la nonna.
Dopo la spesa, la merenda e la partita a carte, la nonna consegnò a Umberto una focaccia dorata, croccante e profumata. Deciso a seguire i consigli della mamma, appena giunto in strada, mise la focaccia per terra, cercò una cordicella, attaccò un capo della corda alla focaccia, strinse forte forte l’altro capo in mano e poi partì di corsa trascinando la povera focaccia che si frantumava e perdeva pezzi ad ogni passo. Vedendo arrivare il figlio a quel modo, la mamma strabuzzò gli occhi ed esclamò: «Umberto, che cosa mi porti?»
«Una focaccia dorata, croccante e profumata che mi ha dato la nonna! L’ho legata ben bene, come mi hai detto tu!»
«Umberto, tu non avrai mai un briciolo di buon senso! D’ora in poi a fare la spesa per la nonna andrò io!».
Il sabato seguente, Umberto rimase a letto fino a tardi. Aveva le lacrime agli occhi, perché sapeva di aver sempre ubbidito e quindi di non meritarsi un castigo così pesante. La mamma si preparò al suo posto per andare dalla nonna, ma prima di partire passò a salutarlo e gli spiegò: «Umberto, ho preparato sette crostate per la festa dell’oratorio di oggi pomeriggio. Non sapevo dove mettere a raffreddare e le ho messe per terra nel corridoio. Se esci di casa, fa’ ben attenzione quando ci passi sopra! Hai capito?»
Umberto si lavò, fece colazione e uscì per andare a giocare. Nel corridoio si ricordò le parole della mamma «fa’ ben attenzione quando ci passi sopra» e così, facendo molta molta attenzione, posò ben bene i piedi su ciascuna delle crostate.
Quando la mamma tornò e vide il disastro delle crostate calpestate fece una sonora lavata di capo al povero Umberto, che corse fuori piangendo.
«Umberto, perché piangi?» Gli chiese il vecchio calzolaio che lavorava davanti alla sua minuscola bottega all’angolo della via. Il buon vecchietto gli voleva bene e gli raccontava bellissime storie di principi e ranocchi. «Che ti succede, bambino mio?» chiese ancora.
«Non ci capisco più niente! Io mi sforzo di essere ubbidiente e mi faccio sempre sgridare dalla mamma!»
E raccontò al vecchio calzolaio le sue ultime disavventure. Il calzolaio si mise a ridere di cuore.
«Figlio mio, a che ti serve quella bella testolina e tutto quello che c’è dentro? Non sei una macchinetta che fa quello che gli ordina il pulsante. Dio dà il giudizio, e poi ci dice: “adoperalo!” Con il cervello si governa il mondo. La volpe furba non torna mai nel pollaio in cui è già stata a rubare le galline!»
Umberto lo guardava stupito. Il vecchio calzolaio aggiunse: «La vera ubbidienza consiste nel capire e riflettere. E poi prendere una decisione personale. Pensa con la tua testa, bimbo mio, e tutto si aggiusterà!»

Il gioco

il gioco del grazie

Per i grandi e piccoli

La danza dei Mostriciattoli

I giocatori si spargono per la stanza e si immedesimano in altrettanti terribili mostriciattoli.
il conduttore fa partire un brano musicale e i giocatori danzano, gesticolando come tanti scatenati mostriciattoli. Danzando, devono fare in modo di avere sempre un solo piede appoggiato a terra. Quando il conduttore interrompe la musica, devono bloccarsi all’istante, restando in equilibrio (nella posizione che hanno in quel momento) sull’unico piede appoggiato a terra. Una penalità a chi non si ferma abbastanza in fretta e a chi non riesce a mantenere l’equilibrio abbastanza a lungo. La musica riparte e il gioco prosegue. Il conduttore può anche decidere di assegnare qualche penalità ai giocatori che non si muovono a ritmo con la musica.
Vince chi ha meno penalità.

La preghiera del giorno

Signore,
tu non hai voluto dominare
al di sopra degli uomini.
Eri loro fratello.
Hai attraversato il sentiero umile.
Hai sopportato tutto:
incomprensione e ingratitudine,
stoltezza e odio.
Tu mi indichi il cammino della vita.
Aiutami a seguirti
passo dopo passo.
Vorrei rimanere con gli amici. Li vedo così soli, abbandonati.
Ti prometto: non tradirò nessuno,
non lascerò nessuno soffocare nella solitudine,
non giudicherò.
Li circonderò di stima e attenzione,
non mi prenderò «gioco» di nessuno.
La nostalgia del cuore
sarà sempre sacra per me.
Donami questa croce:
vivere, come amico, fra la gente