Il coraggio di Giantarlo

Il nocciolo della storia

Giantarlo è l’uomo che sente un potente impulso verso una dimensione diversa della vita e rinnega il servilismo acritico verso l’opinione prevalente. Il giovane tarlo sceglie un’autentica libertà, anche se questo implica un certo distacco, fatica e isolamento. Non si può uscire da se stessi, darsi con generosità, abbandonare il proprio guscio se non si è profondamente liberi. Liberi dagli idoli della possessività e dell’autoconservazione, liberi da indottrinamenti e da suggestioni, liberi dal ricatto e dalla paura. L’arrivo di Piertarlo aggiunge un altro tratto significativo: tutto questo è più facile se condiviso con qualcuno. È l’esigenza di un gruppo, una comunità.

In una trave dell’armatura di un vecchio e massiccio fienile viveva una comunità di tarli. La loro vita consisteva nel rosicchiare, rosicchiare e ancora rosicchiare. Se non rosicchiavano dormivano e questo era tutto.

In una trave dell’armatura di un vecchio e massiccio fienile viveva una comunità di tarli. La loro vita consisteva nel rosicchiare, rosicchiare e ancora rosicchiare. Se non rosicchiavano dormivano e questo era tutto.
In passato erano stati i loro genitori a fare la loro opera di rosicchiamento nella trave e, ancor prima di loro, i nonni e i bisnonni e i genitori dei bisnonni. Insomma tutti gli antenati di quei tarli non avevano fatto altro che rosicchiare quella trave e si erano potuti così nutrire molto bene.
È facile immaginare che la vita di quei tarli non era particolarmente eccitante. La noia era rotta dalle storie raccontate da un vecchio tarlo che una volta aveva rosicchiato un libro di favole e dalle serate di ballo nelle feste di compleanno e onomastico. Anche dal punto di vista della gola, non accadeva un gran che. Di tanto in tanto uno dei tarli incappava in una vena di resina essiccata e allora per breve tempo c’era una varietà nella lista delle vivande. Ma la cosa accadeva di rado.
Un giorno, l’allegra compagnia dei tarli era seduta insieme a banchettare, cioè a rosicchiare la solita trave. Tra un boccone e l’altro conversavano sui vari tipi di legno della loro trave: quello che fa ingrassare, quello che da acidità di stomaco, quello stagionato al punto giusto. I tarli non parlano d’altro che di legno o del campionato di scavo che si svolge tutti gli anni.
Ad un tratto però, il più anziano dei tarli sbottò: «C’è un mondo al di fuori della trave. Io conosco la via che conduce fuori. Una formica che incontrai una volta in una delle mie passeggiate, me l’ha descritta con esattezza».
«Macché!», disse un altro tarlo, «secondo me non c’è nessun mondo all’infuori di questo. Sono tutte fantasticherie! Il mondo è fatto di legno, ecco la realtà della vita, mio caro, ti piaccia o no».
Un altro tarlo ancora disse: «Eppure è possibile che ci sia qualche altra cosa all’infuori del legno. Io non lo escluderei, ma vi avverto: non pensateci troppo, può diventare pericoloso. Chi sa realmente che cosa c’è al di fuori del legno? Nessun tarlo può saperlo!».
Un altro tarlo borbottò, con la bocca piena: «A me non
interessa. Fintanto che posso riempirmi a sazietà, mi sta bene tutto!».
Giantarlo era un tarlino giovane e vispo e quei discorsi lo interessarono subito. Dopo aver molto riflettuto, intervenne dicendo: «Chissà? Forse esistono altre specie di legno. Forse noi mangiamo il legno più scadente che c’è e non lo sappiamo. Forse nelle strette vicinanze c’è un legno dolce o che so io!».
Gli altri tarli scoppiarono a ridere. «Ma tu sei completamente impazzito!», dissero, e il tarlo più anziano aggiunse beffardamente: «Se sei così sicuro, va’ a vederti l’altro mondo! La via per arrivarci è semplicissima: basta che rosicchi sempre in direzione sud come mi indicò la formica. Va’! Nessuno ti trattiene!».
Gli altri tarli risero di nuovo, ma Giantarlo rispose fiero: «Non avete motivo di ridere! Io rischio! Per conto mio potete ammuffire qui!». E da quel momento si mise a rosicchiare in direzione sud.
Lavorava con zelo e s’immaginava l’altro mondo meraviglioso. Era persuaso che la trave non poteva essere «tutto il mondo». Tutti i tarli, che lo incontravano però non facevano che sghignazzare.
Il papà e la mamma lo inseguirono preoccupati. «Figlio mio», scoppiò a piangere la madre, «ti ha dato di volta il cervello? Torna in te, rosicchia con noi in pace, come ti hanno insegnato tuo padre e tua madre, scava come i tuoi fratelli che ti vogliono tanto bene».
Giantarlo voleva bene ai suoi, ma era troppo sicuro di essere nel giusto per avere dei dubbi: abbracciò la madre, salutò il padre e i fratelli e continuò risolutamente a rosicchiare in direzione sud.
Il suo passaggio destò subito la sorpresa di un crocchio di tarle che da brave comari si erano radunate a far quattro chiacchiere in una galleria boutique molto chic.
«Guardate!», disse una. «Passa il tarlo che pensa di uscire dal trave».
«Non c’è più buon senso», disse un’altra.
«Con tutte le belle cose che ci sono da fare qui», ribadì un’altra.
«Ohibò, ohibò», disse una quarta.
Ma Giantarlo proseguì diritto per la sua strada.
Ad un certo punto si sentì chiamare da un vecchio tarlo dall’espressione malinconica che se ne stava tutto solo in una vecchia galleria ingombra di detriti.
«Buon giorno», disse Giantarlo.
Il vecchio lo osservò a lungo, poi disse: «Cosa credi di fare? Anch’io, quando ero giovane, pensavo di andarmene dalla trave per trovare un altro mondo e altro legno. Ma poi mi è mancato il coraggio ed ecco che cosa ci ho guadagnato: vivo tutto solo, e la gente pensa che sono matto. Fin che sei in tempo, dà retta a me: rassegnati a fare come gli altri e un giorno mi ringrazierai del consiglio».
Giantarlo non sapeva cosa rispondere e stette zitto. Ma dentro di sé pensava: «Ho ragione io».
E salutato gentilmente il vecchio tarlo riprese fieramente il suo cammino.
Rosicchiò e rosicchiò, ma le travi sono grosse e i tarli sono piccoli.
Il tempo passava e Giantarlo trovava sempre e soltanto legno. Mille volte gli venne la tentazione di fermarsi, tornare indietro e comportarsi come tutti i tarli di questo mondo.
Una notte, rannicchiato nella galleria che stava scavando, spossato per la fatica, con le lacrime agli occhi, prese la grande decisione: «Basta! Non c’è nessun mondo al di là della trave. Tutto è legno e nient’altro! Domani tornerò indietro».
Proprio in quel momento un rumore sottile sottile, che ben conosceva, lo fece trasalire. Era il rumore di un tarlo che scavava a tutta forza.
Dopo un po’ lo vide arrivare. Era ansante, sudato, ma sorridente fino alla coda. «Finalmente ti ho raggiunto!», disse il nuovo arrivato. «Mi chiamo Piertarlo e voglio venire con te. Anch’io sono stufo della trave. Sono certo che c’è un altro mondo, fuori».
«Piacere!», rispose Giantarlo. E sentì che gli era tornato in cuore tutto il coraggio. «Domani scaveremo una galleria di esplorazione in quella direzione là. Sento che non manca molto alla meta».
In realtà mancavano ancora dieci centimetri abbondanti, perché la direzione sud non era la migliore per uscire dalla trave, ma la formica che aveva dato l’indicazione al vecchio tarlo non aveva mai capito niente di punti cardinali.
Non importava più molto. In due era tutto più facile. Se uno era stanco o sfiduciato, veniva confortato dall’altro. La fatica era divisa a metà, il coraggio invece raddoppiato.
Così un mattino dorato di settembre, Giantarlo e Piertarlo sbucarono fuori della trave. Per la prima volta videro il cielo azzurro e lo splendore del sole.
«Urrà!», gridarono all’unisono e si abbracciarono. Che cosa perdevano i tarli che pensavano che tutto il mondo fosse una trave!
L’aria tersa del loro nuovo mondo era percorsa da suoni incantevoli.
«È il coro degli angeli!», esclamò estasiato Giantarlo.
«Ma va’!», brontolò una formica che transitava da quelle parti trascinando un pesante chicco di grano. «Sono i grilli. Mi fanno venire il mal di testa…».
Ma per i due tarli quel cri-cri era la musica più straordinaria che avessero mai sentito.

Il gioco

il gioco del grazie

Per i grandi e piccoli

Giallo quiz – Furto alla cassaforte

gym — Vacca terra! Fa un freddo tropicale!
bob — Hai ragione, capo. Io sono diventato secco come le bistecche che ci danno alla mensa.
gym — A me si è congelata la goccia.
bob — Sì, capo: se c’è la goccia è Gym! Tu sei l’intramontabile commissario Gym Gorgonzola. Io mi getto umilmente ai tuoi piedi.
gym — Ahi!!! Non pestarmi i calli, disgraziatissimo Bob!
bob — Scusami, capo. Era un segno della mia venerazione per la tua augusta persona.
gym — Bando alle chiacchiere. Questa è l’abitazione del signor Dell’Oro. Ora tocca a te. Concentrati. È l’ora: suona alla porta.
bob — (Strillando) Aprite! Aprite! Qui si gela! Siamo noi, Bob Cianfrusaglia e Gym Gorgonzola!
gym — Noooo! Non è così che devi dire! Rispetta le gerarchie! Il primo nome deve essere sempre il mio. Ripeti la formula con esattezza!
bob — (C. s.) Aprite! Scusa, capo. Aprite! Siamo Gym Gorgonzola e Bob Cianfrusaglia. Dico bene, capo?
gym — Ora va meglio!
dell’oro — Avanti! Venite avanti. Prego.
gym — Grazie.
dell’oro — Venga, commissario, l’aspettavo.
gym — Eh sì, il grande Gym Gorgonzola si fa sempre aspettare.
bob — Sicuro! Il grande Bob Cianfrusaglia si fa sempre aspettare.
gym — Sono io che mi faccio aspettare, non tu.
bob — Giusto, capo! Sono io che mi faccio aspettare, non tu. Giusto, capo!
dell’oro — Venite avanti. Accomodatevi pure. Fuori fa freddo.
gym — La neve che è scesa questa notte ci ha inzuppato le scarpe. Ho i piedi gelati.
bob — Anch’io, capo, ho i piedi in gelatina come la carne di manzo che ci danno alla mensa, capo.
gym — Siamo spiacenti, signor Dell’Oro, le insudiciamo il bellissimo pavimento. Vedo che è perfettamente pulito.
dell’oro — Non si preoccupi, commissario. Verso mezzogiorno viene la donna delle pulizie. Ma ora non faccia complimenti, si accomodi.
gym — Certo, è proprio una bella pulizia. Ci si specchia veramente in questo pavimento. Guardi la faccia del mio aiutante: è una faccia da schiaffi al naturale anche sul pavimento!
bob — Grazie, capo. Questo è un complimento che non merito. Sei troppo buono con me, capo.
gym — Non era un complimento! E ora, al lavoro!
bob — Sì, capo. Procedo, capo. Signor Dell’Oro, dalla nostra indagine risulta che lei è proprietario di una gioielleria e che ha denunciato un furto alla sua cassaforte. Quando è successo questo?
dell’oro — Circa mezz’ora fa. Ecco la cassaforte.
gym — Bel colpo! È proprio ben ripulita!
bob — Come il pavimento, capo.
gym — Come è avvenuto il colpo?
bob — Ha fatto «bum»? …
gym — (Urlando) Bob, non intralciare le indagini!
bob — Scusa, capo. Non intralcio, capo!
dell’oro — Vi dirò. Ho chiuso il negozio ieri sera molto tardi. Ho portato qui a casa alcuni preziosissimi diamanti del valore di 100 milioni. Questa mattina li stavo esaminando, prima di riportarli in negozio, quando mi è venuta sete, una insopportabile sete. Mi sono recato in cucina per farmi un caffè. Mi parve di sentire un rumore, ma pensai che fosse il vento. Capirà… con il vento che c’era questa mattina!…
gym — Sì, un tempo bestiale!
bob — Ben detto, capo. Ieri ho visto la televisione e Giuliacci diceva che l’aria di bassa pressione sarebbe precipitata con robe temporalesche…
gym — Bob! Non confondere il clima!… Mi scusi, proceda pure.
dell’oro — Dicevo… Mentre prendevo il caffè sentii sbattere violentemente la porta. «questo non può essere il vento», pensai, e mi precipitai alla cassaforte che nel frattempo avevo lasciata aperta. I diamanti erano scomparsi. Allora ho subito denunciato il furto e le ho telefonato per avvertirla.
gym — Dunque, dunque… ragioniamo!
bob — Dunque, dunque… ragioniamo!
gym — Bob, fai silenzio! Qui ragiono solo io. Tu non sei in grado di ragionare.
bob — Giusto, capo. Tu non sei in grado di ragionare. Giusto.
gym — Quanto tempo vi siete fermato in cucina?
dell’oro — Circa 8-10 minuti.
bob — Prendo nota, capo?
gym — È solo quello che devi fare!
bob — Bene, capo. Allora prendo nota.
gym — E… avevate assicurato i diamanti?
dell’oro — Certamente. Non più di una settimana fa. Capirà, 100 milioni…
gym — Bene!
bob — Bene!
gym — Bene lo dico solo io!
bob — Giusto, capo. Bene lo dico solo io.
gym — Riassumiamo.
bob — Devo leggere, capo?
gym — Mi pare più che evidente, tenuto conto dello sviluppo delle indagini.
bob — Allora leggo. Mentre il qui presente Dell’Oro stava prendendo un caffè di 8-10 minuti, un colpo di vento ha spento le precipitazioni di Giuliacci…
gym — Bob! Questo è un minestrone!
bob — Scusa, capo. Forse ho riassunto troppo?…
gym — Lascia fare a me. La mente sono io. Bob Cianfrusaglia, in nome della legge ti ordino di arrestare quest’uomo. bob — Subito, capo! Ma… il qui presente?… Non prendiamo il ladro dei gioielli?
GYM — Non hai ancora capito? È lui il vero colpevole!
bob— Giusto, capo! Più che evidente, capo! (Tra sé) Boh.?! Chi ci capisce è bravo!…

La preghiera del giorno

Il pastore conosce le sue pecore
ed esse conoscono lui.
Non c’è pastore che non chiami
ogni pecora col suo nome.
E le pecore sanno distinguere la sua voce
anche fra molte.
Ed egli sa ogni loro bisogno,
soprattutto quando stanno male.
Il pastore non si dà pace
fino a quando non le vede
tutte raccolte, sazie, al sicuro, in pace.
Ma neanche allora
il pastore buono può riposarsi
perché il lupo può venire
da un momento all’altro…
Dio mi ama così, come un pastore buono.