Il ragazzo mai contento

Il nocciolo della storia

I ragazzi oggi conoscono perfettamente la tecnica dello zapping. Sanno cioè manovrare in modo magistrale il telecomando che seleziona i programmi televisivi. Hanno imparato a scegliere ciò che a loro «piace». Ciò che «non piace» viene cambiato, scartato, spento. Questo modo di fare si estende inesorabilmente dal campo delle scelte televisive a quello della vita di tutti i giorni.
Il «piacere» diventa un criterio comune di scelta. La «noia», il «peccato» da evitare a tutti i costi.
È questo il problema di Vinasciua. La sua vita è sempre piena ili noia, il suo ritornello è: «Mi annoio tanto!».

Non sa vedere quanta bellezza e quante opportunità ci sono nelle sue giornate, la sua fantasia è atrofizzata, il tempo non è più un dono per lui, ma quasi un tormento da far passare il più rapida-niente possibile.
Il Vento, la Fonte, la Pioggia e la Valanga dei Desideri lo accontentano, ma con il loro intervento gli fanno anche capire la grande responsabilità che ciascuno ha nei riguardi di quel dono stupendo che è il tempo. Un dono unico, che non ha repliche. Il tempo sprecato e buttato via malamente, non può essere ricuperato. Quello che è concesso a Vinasciua, non viene concesso alle normali persone umane.

C’era una volta, nel grande popolo eschimese, il figlio di un capotribù di carattere capriccioso e di umore sempre variabile. Si stancava subito delle sue occupazioni, dei suoi trastulli, delle persone che lo circondavano

C’era una volta, nel grande popolo eschimese, il figlio di un capotribù di carattere capriccioso e di umore sempre variabile. Si stancava subito delle sue occupazioni, dei suoi trastulli, delle persone che lo circondavano. Aveva quasi sempre l’aria scontenta sebbene non gli mancasse nulla.
Un giorno di primavera, Vinasciua, così si chiamava il giovane, sedeva su un prato verde. Un venticello gli portava alle narici i profumi della stagione novella. Tanti piccoli animali appena usciti dal letargo facevano capolino fuori dalle loro tane. Ognuno e ogni cosa pareva rallegrarsi del tiepido sole. Ma Vinasciua non condivideva la gioia di tutta la natura attorno a lui, e sbadigliava.
D’un tratto il sussurro del vento divenne più forte e agli orecchi del giovane parve che il sussurro si tramutasse in parole:
«Sono il Vento dei Desideri! Sono il Vento dei Desideri! Figlio, che cosa vuoi? Figlio, che cosa speri?».
«Spero di non seguitare ad annoiarmi tanto!» fece lui. «Non mi piace questa primavera così delicata. Vorrei un bel sole forte che mi indorasse la pelle; vorrei nuotare nell’acqua del ruscello e non star qui seduto ad aspirar profumi come una fanciulla! Vorrei che fosse estate!».
«Sei ben sicuro di volere subito l’estate?» chiese ancora il Vento dei Desideri.
«Sicurissimo!» rispose Vinasciua.
Allora il Vento dei Desideri si fece più forte, sempre più forte.
Afferrò il giovane come in un turbine e lo fece girare,
girare, girare su se stesso a velocità pazzesca. Lo fece girare per ore, giorni, notti, settimane, mesi, finché non fu improvvisamente estate.
Come uscisse da un sonno profondo, Vinasciua aprì gli occhi. Il sole era caldo, le piante intorno erano di un verde intenso. Una sorgente, accanto a lui, gettava acqua cristallina che formava un ruscello limpidissimo.
Vinasciua avrebbe voluto fare un bel bagno ma poi disse: «Spogliarsi è una fatica inutile. E poi che gusto c’è?».
Guardò un altro poco i riflessi del sole sulle acque lucenti come uno specchio, poi prese a sbadigliare.
L’acqua aumentò il suo chiacchierio e, a un certo momento, bisbigliò agli orecchi di Vinasciua: «Sono la Fonte dei Desideri! Sono la Fonte dei Desideri! Figlio, che cosa vuoi? Figlio, che cosa speri?».
«Mi annoio tanto!» si lamentò lui. «Ne ho abbastanza dei raggi del sole riflessi nell’acqua. L’estate è monotona! Vorrei essere in autunno, quando c’è la birra nuova e tutti i giovani si radunano, cantano belle canzoni, attorno a tavolate di cibi fumanti e danzano fino a notte alta».
«Ma perché non cerchi di goderti l’estate in compagnia?» insisté la Fonte dei Desideri.
«Perché non mi va!» rispose lui cocciuto. «A me interessa solo l’autunno!».
«Sei proprio sicuro di volere subito l’autunno?» chiese ancora la Fonte dei Desideri.
«Sicurissimo!».
E l’acqua allora uscì dalla fonte e dal ruscello, si tramutò in tante corde trasparenti che avvolsero il giovane e lo fecero girare, girare, girare su se stesso a velocità pazzesca. Lo fecero girare per ore, giorni, notti, settimane, mesi, finché non fu autunno.
C’era un buon profumo di caribù arrosto nell’aria. In una grande sala dal soffitto di legno, in una bella fattoria, erano apparecchiate molte tavole e attorno tanta gente celebrava la festa della caccia con la birra nuova. Cantavano e scherzavano tutti: giovani e vecchi. Verso la fine del pranzo un gruppo di suonatori accordò gli strumenti e i giovani si prepararono a ballare. Una bella luna tonda come una focaccia d’avena splendeva nel cielo terso.
Vinasciua era uscito davanti alla fattoria. Quando qualcuno lo chiamò dentro perché si mettesse a ballare con gli altri, egli rifiutò con un gesto seccato, come per dire: «Figurarsi se ho voglia di ballare!». E cominciò a sbadigliare, come se fosse stanco di ogni cosa.
La facciona tonda della luna si oscurò d’un tratto, coperta da una nube. Cominciò a piovere. Era una pioggerellina non molto forte, ma con un ticchettio insistente co me una voce che ripeta sempre le stesse cose.
I giovani cominciarono a ballare, ancora più felici. Vinasciua restava immusonito sotto l’acqua che picchiettava sempre più insistente. Quel rumore risuonò come una sfilza di parole agli orecchi del giovane: «Sono la Pioggia dei Desideri! Sono la Pioggia dei Desideri! Figlio, che cosa vuoi? Figlio, che cosa speri?».
«Mi annoio a morte!» esclamò lui. «E questa gente mi dà fastidio. Vorrei essere solo su una bella montagna nevosa. Vorrei sciare per un pendio coperto di neve. Sì, vorrei proprio che fosse inverno!».
«Sei davvero sicuro di desiderare subito l’inverno?» chiese la Pioggia dei Desideri. «Sicurissimo!».
Allora la pioggia si fece più fitta e avvolse Vinasciua come un lenzuolo. Lo fece girare, girare, girare su se stesso a velocità pazzesca. Lo fece girare per ore, giorni, notti, settimane, mesi, finché non fu inverno.
Vinasciua si trovò sulla vetta di un pendio con un paio di sci ai piedi. Iniziò una discesa vertiginosa su una bella neve candida e soffice. Per un po’ si divertì molto a sentire il vento fischiargli agli orecchi e a scendere come una saetta.
Salì e scese altre due volte, poi disse tra sé: «Mi sono stancato. È tutto sempre uguale! E poi ho freddo. Mi si è ghiacciata la punta del naso».
Udì un brontolio di tuono che pareva avvicinarsi sempre di più. Eppure il cielo era completamente azzurro.
«E se fosse una valanga?» pensò. «Ci mancherebbe anche questa! Che stagione antipatica è l’inverno! Se almeno arrivasse subito la primavera!».
II brontolio del tuono si fece più cupo che mai. Ma non era un tuono, no: era davvero una valanga che precipitava dall’alto, mentre il brontolio si trasformava in voce che diceva:
«Sono la Valanga dei Desideri! Sono la Valanga dei Desideri! Figlio, che cosa vuoi? Figlio, che cosa speri?».
«Sempre le stesse parole!» rispose lui irritato. «Cosa vuoi mai che speri, se non di cambiare, quando le cose non mi vanno? E poi non mi piace sentirmi trattare come un bambino capriccioso. Vorrei… vorrei avere più anni! Vorrei essere più vecchio!».
Non fece in tempo a pronunciare queste parole che la valanga gli piombò addosso e lo fece rotolare in mezzo a un gran mucchio di neve: rotolare, rotolare, rotolare a velocità pazzesca. Lo fece rotolare per ore, giorni, notti, settimane, mesi e lo lasciò in fondo a una specie di pozzo le cui pareti erano le mura a picco della montagna.
Tutto era grigio come le pietre disseminate per terra. Vinasciua si trovò seduto su una di quelle. I suoi capelli erano tutti bianchi e una lunga barba bianca gli pendeva sul petto. Cercò di alzarsi, ma le gambe non lo sostenevano. Si guardò le mani: erano magre e rugose.
«Ma sono vecchio!» disse. «Possibile che il tempo passi così in fretta?».
La Valanga dei Desideri rispose: «Sì, purtroppo è possibile».
«E non posso più esprimere desideri?» chiese Vinasciua.
«Di che desiderio si tratta?» domandò la Valanga.
«Vorrei non avere più fretta, vorrei contentarmi del tempo che passa come più gli piace, con tutto quello che porta con sé».
La Valanga dei Desideri lo abbracciò di nuovo nella sua stretta e di nuovo lo fece rotolare, rotolare, rotolare… per ore, giorni, notti, settimane, mesi e… anni.
Vinasciua si ritrovò giovinetto su un prato ad ascoltare il sussurro del vento di primavera come il giorno in cui aveva desiderato che arrivasse d’un colpo l’estate.
Si ricordava l’impazienza di quel giorno lontano? Oppure aveva dimenticato del tutto il suo rotolare precipitoso nel tempo? Che cosa fece da quel momento? Come si comportò in seguito?
La storia non lo racconta. Nessuno lo ha mai detto. Provate a immaginarlo voi.

Il gioco

il gioco del grazie

Per i grandi e piccoli

Amantnieki (LETTONIA)

I giocatori vengono divisi in due squadre. Quelli della prima scelgono un mestiere, che gli avversari devono cercare di individuare. Tre giocatori della prima squadra mimano tre differenti azioni collegate col mestiere scelto. Se qualche azione risulta incomprensibile, perché mimata male, il conduttore può chiedere a qualche altro giocatore della stessa squadra di ripetere la mimica. Se la seconda squadra indovina il mestiere scelto, guadagna un punto, altrimenti resta a mani vuote. In entrambi i casi tocca poi ai giocatori della seconda squadra scegliere un mestiere, mimarne tre azioni e così via. I giocatori che mimano le azioni devono essere sempre diversi. Il gioco termina quando tutti i giocatori hanno mimato tre diverse azioni. Vince la squadra che conclude il gioco con il punteggio più alto.

La preghiera del giorno

Custodiscimi, Signore,
difendimi sempre,
in mare e sulla terra,
nell’acqua e nel fuoco,
quando entro e quando esco,
quando dormo e quando sono sveglio,
di notte e di giorno
e nell’ora della morte,
in tutti i luoghi e in tutti i giorni della mia vita,
custodiscimi, Signore