E.u.genio

Il nocciolo della storia

Gabriele comincia a rendersi conto della sfida più difficile per ogni persona: quella delle relazioni umane. Una sfida che molti credono di vincere con la prepotenza, la grossolanità, l’aggressività. Tutti atteggiamenti che rendono infelici chi li mette in atto non meno di chi è costretto a subirli.
Eppure ogni essere umano ha in sé un grandissimo potere: può rendere felici o infelici quelli che gli stanno intorno. È questa la magia che E. U. Genio fa scoprire a Gabriele. La cortesia, le buone maniere, il rispetto, la lealtà, l’attenzione sono elementi «magici» che servono per praticare l’arte della convivenza, che è, in fondo, l’arte della felicità.

Gabriele, dieci anni di jeans, libri di scuola e cespugliosi capelli neri, arrivò dalla scuola con il fiatone. Aveva fatto la strada di corsa.
La giornata, come spesso gli accadeva, gli era andata storta. In preda a tristi pensieri si sedette per la merenda sul gradino delle scale davanti alla porta di casa…

Gabriele, dieci anni di jeans, libri di scuola e cespugliosi capelli neri, arrivò dalla scuola con il fiatone. Aveva fatto la strada di corsa. La giornata, come spesso gli accadeva, gli era andata storta.

In preda a tristi pensieri si sedette per la merenda sul gradino delle scale davanti alla porta di casa. Aveva preso in frigorifero un barattolo di yogurt, uno di quelli che promettono agli affezionati consumatori forza fisica, intelligenza, successo e premi mirabolanti.

Tutte cose che a Gabriele non erano mai arrivate. E dire che di yogurt di quella marca ne mangiava tanti.

Staccò il coperchio, chiedendosi per l’ennesima volta perché lo appiccicassero con tanta perfida tenacia. Più di una volta si era schizzato camicia e pantaloni. Diede una leccatina al coperchio e stava per affondare il cucchiaio nello yogurt quando si verificò un evento inatteso.

Con un sibilo modulato, lo yogurt gonfiò e si espanse nell’aria fino ad assumere le sembianze di un essere gigantesco, simile all’«omino di gomma» della Michelin.

Il gigante aveva l’aria soffice e morbida e, tutto bianco com’era, sembrava fatto di panna montata. Lo strano personaggio sorrise e, tutto compito, disse: «Tu mi hai liberato e adesso sono tuo. Comanda, padrone!».

«Un genio tutto per me! Come Aladino!». Gabriele non riusciva a crederci. Era un miracolo: il suo sogno che si realizzava. Aveva in mano gloria e successo. Passò rapidamente in rassegna la lunga lista dei suoi desideri. Non sapeva da che parte incominciare.

«Quanti desideri mi concedi?», chiese.

«Tre, naturalmente», sorrise il genio. Guardò Gabriele negli occhi e aggiunse: «… e non sperare di farmi il trucchetto di Aladino. L’ho visto anch’io il film!».

«Solo tre», brontolò Gabriele. «Va bene… Domani deciderò».

Il mattino dopo, Gabriele, si svegliò con il solito opprimente peso della giornata di scuola che lo aspettava. Ma poi gli venne in mente il genio. Un desiderio ce l’aveva, eccome. Si buttò giù dal letto, prese il vasetto di yogurt e gridò: «Genio!».

«Guarda che non sono sordo. Comanda, padrone!». In un attimo il genio era pronto, con il suo bel sorriso bianco.

«Primo desiderio: voglio diventare il numero uno, il ragazzo più lodato della scuola. Hai capito bene?».

«Certo», disse il genio.

«Non fai schioccare le dita?».

«Sono un genio serio, io, padroncino. Preparati e usciamo».

Gabriele si vestì svogliatamente, come al solito, con quello che aveva buttato sulla sedia la sera prima e si sfiorò con l’acqua del lavandino. Poi fece per uscire.

«No, no, no», gli fece il genio con aria imperiosa. «Dietro front!». Sollevò Gabriele, quasi di peso, lo costrinse a spogliarsi, lo cacciò sotto la doccia e gli fece fare una lavata, come solo la mamma a Natale e a Pasqua riusciva a fargli.

Mentre Gabriele, sbalordito, si asciugava, il genio rovistava nei cassetti e tirava fuori camicie immacolate e pantaloni stirati. Glieli fece indossare poi lo scrutò con occhio critico. Gli ritoccò la discriminatura dei capelli e disse: «Passabile. Adesso vediamo la borsa dei libri».

«Che cosa?».

«Poche storie: controlla che i libri siano quelli giusti e che la penna scriva».

Il tono del genio non ammetteva repliche e Gabriele ubbidì.

Borbottando: «Ma che razza di magia è questa…», fece per uscire, ma il genio implacabile lo prese per la collottola e lo spinse verso la porta della cucina, ordinando: «Prima si salutano i familiari!».

Gabriele si affacciò e buttò un timido «Buongiorno». Mentre si allontanava sentì la voce di Stella, la sorellina, che diceva, con il tono di chi ha avuto un’allucinazione: «Mamma, Gabriele mi ha salutato… ed era tutto pulito!».

L’attacco al tram era uno degli sport preferiti da Gabriele e dai suoi amici. L’assalto era composto di urla e spintoni. C’era una tacita gara a chi riusciva a travolgere più innocui passeggeri, vecchietti e massaie, e le inevitabili proteste venivano sepolte da sonore risate.

All’arrivo del tram, Gabriele fece per buttarsi avanti con la consueta foga, ma la mano inflessibile del genio lo trattenne.

I compagni della V A e di altre classi, allibiti, videro Gabriele cedere il passo ad una signora con una grossa borsa e mettersi tranquillo in un angolo della vettura. Non riuscivano ad immaginare il motivo di una conversione così repentina. Gabriele tentò di nuovo di unirsi al gruppetto. che urlava e si spintonava sul fondo del tram, ma il genio (che lui soltanto continuava a vedere) gli fece «no no» agitandogli davanti agli occhi il ditone bianco.

«Non dovrei essere io a comandare?», voleva ribellarsi il ragazzino, ma proprio in quel momento scattò la sorpresa. Dalla calca emersero i baffi e gli occhiali cerchiati d’oro del direttore. La torma vociante dei ragazzi tacque di colpo.

«Ma bravi!», la voce del direttore tagliò l’aria come un fulmine. «Parleremo a scuola di questo spettacolo… Vi voglio tutti in direzione con il diario in mano». Poi la voce cambiò tono: «Meno Gabriele, naturalmente. Non credevo fosse così… signore».

Una voce che solo il ragazzo poteva udire disse: «E uno, padroncino!».

«Ma non hai usato la magia!».

«Ti sbagli, padroncino. Questa è magia. Ora esprimi il tuo secondo desiderio».

Il secondo desiderio gli sgorgò dal cuore. Negli ultimi mesi, Gabriele aveva collezionato una serie impressionante di litigi: con la sorellina, la mamma, il papà, Luciano il suo migliore amico, la nonna Silvana… Si sentiva perennemente circondato da gente che gli faceva il broncio e che ce l’aveva con lui.

«Voglio che tutti mi sorridano», ordinò.

«Benone», disse il genio. «Questo è facile, padroncino. Ora ascolta attentamente quello che devi fare». Il genio si chinò e cominciò a parlargli all’orecchio. Il ragazzo ascoltava con l’aria un po’ sorpresa. Alla fine sbottò: «Anche questa non è magia! ».

«Lo è, lo è», disse il genio. «Vedrai».

Quella sera, Gabriele arrivò puntuale a cena. Non si fece pregare 26 volte, come al solito, non trascinò i piedi, si lavò le mani. Si alzò per prendere l’acqua e la mise in tavola con garbo poi, prima di incominciare a mangiare, augurò un sonoro: «Buon appetito». Mamma, papà e sorellina si bloccarono sbalorditi.

Gabriele approfittò del momento per cominciare il suo discorsino: «Papà, mamma, Stella… In questi ultimi tempi sono stato sgarbato e ho fatto tante cose che non andavano. Vi chiedo scusa». Tirò fuori dalla tasca un pacchettino. «Questo è per te, Stellina, perdonami per tutte le volte che ti chiamo “sgorbio” o in altri modi scortesi. Vi voglio bene».

Stella afferrò il pacchettino (un fermacapelli di plastica blu, un euro all’Upim) e gli buttò le braccia al collo gridando: «Mi ha fatto un regalo… Mi ha fatto un regalo!»; il papà gli fece una carezza, la mamma gli sfiorò la guancia con un bacio.

Gabriele aveva quasi dimenticato quanto potessero essere dolci e stupende tutte queste cose. La cena proseguì in mezzo ai sorrisi e anche i bastoncini di merluzzo sembrarono migliori del solito.

Appollaiato sul lampadario, il genio faceva il segno della vittoria. Gabriele gli lanciò una strizzatina d’occhi. 

Gabriele aveva ancora un desiderio da esprimere. Ed effettivamente c’era una cosa che desiderava tantissimo: il premio di miglior giocatore nel torneo di calcio dei piccoli all’oratorio. Non era proprio un campione e così gli facevano fare il terzino. E un terzino, come tutti sanno, non ha molte probabilità di mettersi in luce.

Questa volta avrebbe messo alla prova il genio.

«Voglio essere il miglior giocatore del torneo», disse.

Il genio ridacchiò: «Sarà fatto, padroncino».

«Questa volta dovrai ricorrere alla magia…».

«Come sempre, padroncino, come sempre».

Gabriele giocò tutte le partite con il genio che gli svolazzava intorno e gli dava consigli: gli proibiva di litigare, di dire parolacce ai compagni che sbagliavano, di gridare contro l’arbitro. Lo costrinse perfino ad ammettere un fallo da rigore.

La squadra di Gabriele, però, arrivò penultima. Lui non fece neanche un gol, ma solo due umilianti autogol.

Il giorno della premiazione, se ne stava a capo chino.

«Sei un genio della mutua! Hai visto che non ce l’hai fatta?», disse rivolto al genio che, tanto per cambiare, sogghignava.

In quel momento, l’altoparlante gracchiò: «Miglior giocatore del torneo per lealtà, sportività e cortesia: Gabriele Bacchelli!».

«Ehi, ma sono io!». Si illuminò e si precipitò verso la pedana della premiazione.

«Il migliore non è quello che fa più gol!» gli gridò dietro il gigante bianco.

Si salutarono quella sera. Gabriele era raggiante, ma gli dispiaceva lasciare il suo morbido amico.

«Il mio compito è finito, padroncino. Hai avuto i tuoi tre desideri. E forse hai imparato un po’ di magia…».

«Non mi hai neanche detto come ti chiami».

«E. U. Genio. E come educazione, U come urbanità».

«Me lo immaginavo. Verrai ancora a trovarmi?».

«Chi lo sa? Può darsi», replicò il genio, che si stava tramutando in una nuvola lieve lieve.

«Dove vai, adesso?», chiese Gabriele.

«In un barattolo di Nutella. Lo yogurt mi dà l’acidità…».

E scomparve.

Il gioco

Sicuro che sai contare?

Per i più grandi

L’animatore può distribuire ad ogni ragazzo un disegno o cartoncino a forma di genio, oppure attaccare un biglietto ad un barattolo di yogurt, in cui sono indicati alcuni consigli, possibilmente personalizzati, per migliorare la convivenza.

I giocatori sono disposti in cerchio, in piedi. Al via iniziano a contare, pronunciando un numero ciascuno e procedendo lungo il cerchio in senso orario. I numeri multipli di tre o che contengono il tre al loro interno devono essere sostituiti con la parola «Pompelmo». Il tutto deve essere fatto con la massima serietà, senza ridere! Chi sbaglia a contare o ride, si siede a terra. Quando il gioco viene interrotto per far sedere a terra un giocatore, riprende sempre dal giocatore successivo a quello eliminato, che prosegue a contare (e non ricomincia da capo…). Vince il giocatore che resta in piedi per ultimo.

Per i più piccoli

Colora questa bellissima interpretazione dell’Esodo del grande Fano.

La preghiera del giorno

Chi crede in Dio non teme i pericoli.
Nulla può colpirlo, neanche le frecce che volano nel cielo.
L’uomo che ha fiducia in Dio ha trovato in lui la sua casa:
abita nel suo amore.
La sfortuna non lo colpirà,
non gli potrà accadere nulla di brutto.
Non mi fai inciampare sui sassi, non permetti
che i serpenti mi mordano:
tu proteggi il cammino della mia vita.
Io credo in te, Dio, in te ho fiducia. Amen.