Il leone e il moscerino
Il nocciolo della storia
Nella storia, il leone e il moscerino imparano a loro spese che la presunzione e la vanità fanno prendere decisioni avventate. È molto meglio essere attenti alla realtà.
Il sole si era addormentato sotto la sua colorata coperta di nuvole. Gli abitanti della foresta si era ritirati nelle loro tane e nei loro rifugi. L’ultima ape aveva spento il suo ronzio, l’orso russava della grossa, le scimmie dondolavano sui rami cullate dalla brezza…
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Il sole si era addormentato sotto la sua colorata coperta di nuvole. Gli abitanti della foresta si era ritirati nelle loro tane e nei loro rifugi. L’ultima ape aveva spento il suo ronzio, l’orso russava della grossa, le scimmie dondolavano sui rami cullate dalla brezza.
Sulla riva del ruscello, un moscerino minuscolo si era fatta un’amaca con due fili d’erba e, dopo un grosso sbadiglio, cominciava ad assopirsi.
Tutto fu avvolto da un profondo e placido silenzio.
Ma proprio in quel momento arrivò dal profondo della foresta un ruggito sordo e possente. RRRRRRRRR!
Immediatamente tutte le creature, feroci e non, si svegliarono di soprassalto e il povero moscerino si spaventò terribilmente: gli servirono tutte le sue zampette per calmare il batticuore e fregarsi gli occhi, che stentavano ad aprirsi del tutto.
La causa del fracasso era un leone. Un grande, grosso, grasso leone alla ricerca della cena, che ruggiva a pieni polmoni perché non aveva ancora trovato niente.
Il moscerino lo vide chiaramente alla luce della luna e siccome non aveva paura dei leoni, ritto in piedi sul suo filo d’erba, gridò indignato: «Ehilà! La volete smettere? Cos’è tutto sto trambusto?»
Il leone si fermò e lo sfiorò con lo sguardo sdegnato.
«Piccolo essere insignificante! Come osi rivolgerti a me?»
«Anche un cane può guardare un re» rispose il moscerino. «Non potete lasciar dormire in pace la brava gente? State nel vostro territorio dall’altra parte del fiume e non venite qui a disturbare. Che diritto avete di stare qui?»
Il leone sbuffò, trattenendo la rabbia.
«Che diritto? Il mio diritto! Io sono il re della foresta. Faccio quello che mi piace, dico quello che mi piace, mangio chi mi piace, vado dove mi piace, perché io sono il re della foresta!»
«Chi ha detto che voi siete il re?» domandò tranquillamente il moscerino.
«Chi l’ha detto?» Ruggì il leone. «Io lo dico, perché io sono il più forte e tutti hanno paura di me».
«Tutto qui?» fece l’impertinente insetto. «Ma io, tanto per fare un esempio, non ho paura di voi, quindi voi non siete re».
Il leone si fece rosso di rabbia, poi verde di bile e infine viola per l’offesa: «Non sono re? Non sono re? Ripetilo se hai coraggio!»
«Certo, lo ripeto. E non sarete re se non vi battete contro di me e non vincete».
«Battermi con te?» sbuffò il leone calmandosi un po’ «Chi ha mai sentito niente di simile? Un leone contro un moscerino? Piccolo atomo insignificante, con un soffio ti mando in capo al mondo!»
Ma non mandò niente da nessuna parte. Ebbe un bel soffiare e sforzarsi con tutta la forza dei polmoni. Tutto quel che ottenne fu un moscerino che faceva l’altalena sullo stelo d’erba e gridava, battendo quattro paia di mani: «Ancora! Ancora!»
E poi aggiungeva: «Sono più forte di voi! Sono io il re!»
Allora il leone perse definitivamente il senso delle proporzioni e si buttò avanti a fauci spalancate per inghiottire il moscerino, ma inghiottì solo una zolla d’erba che lo fece tossire e sputacchiare per un bel po’.
E l’astuto insettino dov’era?
Proprio in una narice del leone e là cominciò a solleticarlo e punzecchiarlo.
Il leone scosse freneticamente il testone e grugnì e starnutì: «Etciù!»
Ma il moscerino pizzicava e solleticava. Il leone sbatteva la testa contro gli alberi, si graffiava con i sui unghioni, strepitava, ruggiva… Il moscerino solleticava.
«Oh! Il mio naso! Il mio povero naso! Etciù! Pietà! Esci di lì! Sei tu il re della foresta, sei tutto quello che vuoi…Ma esci dal mio naso!» piagnucolò infine il leone.
Allora il moscerino volò fuori dalla narice del leone, che mortificato e umiliato sparì nel profondo della foresta.
Il moscerino cominciò a danzare di gioia su un altro stelo d’erba: «Sono il re, re, re, re! Ho battuto un leone, un leone, un leone! L’ho fatto scappare! Sono il più forte e il più furbo, io!»
A forza di saltellare, esultando, qua e là, il moscerino non si accorse di essersi avvoltolato in qualche cosa di fine, e di leggero e di forte… dei lunghi fili bianchi, quasi invisibili tra i fili d’erba e che si attorcigliavano intorno al corpo dell’insetto, legando le sue zampe, le sue ali e… flip, flop, Tonino il ragno arrivò sulle sue otto zampe, borbottando: «Che bello stuzzichino per la cena…»
Povero moscerino! un momento prima era un re e poco dopo solo uno stuzzichino per la cena di un ragno! Non è una brutta fine?
Un grande e possente leone… vinto da?…
Un moscerino!…
Un astuto moscerino… vinto da?…
Una tela di ragno!…
Il gioco
il gioco del grazie
Per i grandi e piccoli
I portatori di riso
Tre o più squadre di tre giocatori ciascuna. Un conduttore.
Occorrente: Tanti palloncini da gonfiare quante sono le squadre. Qualche manciata di chicchi di riso.
Preparazione: In ogni palloncino vengono infilati venti chicchi di riso, dopo di che i palloncini vengono gonfiati e chiusi. Ogni squadra ne riceve uno e il gioco può avere inizio.
Regole: I giocatori di ogni squadra, muovendosi tutti insieme, devono portare il palloncino dalla parte opposta del campo, senza toccarlo con le mani né con le braccia al di sotto del gomito e cercando di non farlo cadere a terra. Per far questo, possono tenerlo con la testa, la schiena, i fianchi, le ginocchia e così via. Se il palloncino viene toccato con le mani (o con gli avambracci…) la squadra riceve cinque chicchi di penalità, mentre se cade a terra la penalità è di tre chicchi. In entrambi i casi, i giocatori devono riprendere in modo corretto il palloncino prima di poter ripartire. Una volta arrivati a destinazione, devono far scoppiare il palloncino (sempre senza toccarlo con le mani), raccogliere i chicchi di riso caduti (stavolta con le mani…) e correre a portarli al conduttore. Dieci chicchi di abbuono alla squadra che termina il gioco per prima, cinque ai secondi arrivati e tre ai terzi.
Vince: La squadra che conclude il gioco con il maggior numero di chicchi complessivi (chicchi consegnati al conduttore più abbuoni meno penalità).
La preghiera del giorno
Dio Padre Nostro, dona grazie e benedizione
a tutti quelli che ho incontrato oggi,
per strada, in treno, in metropolitana, a scuola.
Dio Padre Nostro, c’è anche
persone che non ho mai incontrato,
le persone che vedo in televisione,
persone che sono lontane da me,
persone che soffrono,
persone che sono felici.
Tutte queste persone, tu le ami, Padre di tutti,
e tu sei vicino a loro.
Anche tu vuoi conoscerli.
E poi, Dio Padre nostro, fa’ del bene anche a tutte le persone
che non incontrerò mai.