Il mistero dei dodici uomini intorno al fuoco
Il nocciolo della storia
Il tempo è galantuomo e alla fine rende giustizia e premia chi è gentile e si comporta con bontà.
C’era una volta una ragazza graziosa e gentile che si chiamava Aurora e che, rimasta orfana, era stata affidata ad una famiglia di zii che la trattavano sgarbatamente. Soprattutto perché la zia Geltrude e lo zio Arturo amavano la figlia Domitilla in modo esagerato.
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C’era una volta una ragazza graziosa e gentile che si chiamava Aurora e che, rimasta orfana, era stata affidata ad una famiglia di zii che la trattavano sgarbatamente. Soprattutto perché la zia Geltrude e lo zio Arturo amavano la figlia Domitilla in modo esagerato.
La famiglia viveva in una villetta ai margini di una foresta di larici e betulle nel Grande Nord.
La dolce Aurora ignorava di essere molto più bella di Domitilla e non riusciva a spiegarsi perché la zia si irritasse tutte le volte che la vedeva. Era la povera Aurora che doveva fare tutto in casa: scopare, cucinare, lavare, cucire, filare, tessere, tagliare l’erba, curare le galline. Domitilla al contrario viveva come una principessa e oziava tutto il giorno.
Ma Aurora era coraggiosa e sopportava rimproveri e botte senza protestare.
Un anno, a Capodanno, Domitilla cominciò a strillare e a pestare i piedi, tanto da far tremare le pareti della casetta. Voleva un mazzolino di violette. Come se non bastasse voleva a tutti i costi che a procurarglielo fosse la povera Aurora. E subito!
Geltrude, naturalmente, diede ragione a Domitilla e spedì la bionda fanciulla nel gelido bosco, sperando che si smarrisse.
Aurora, con il suo vestitino leggero e un grembiulino che pareva una ragnatela, tanto era sottile, si mise a vagare per il bosco pieno di neve. La notte si sarebbe chiusa ben presto su di lei, facendole perdere l’orientamento. Già sentiva il ghiaccio che l’avvolgeva inesorabile.
Camminando sconsolata, Aurora giunse ad una radura che si apriva in cima ad una collina, dove si imbatté in uno strano spettacolo. Intorno ad un fuoco scoppiettante c’erano dodici pietre e su ogni pietra era seduto un uomo immobile avvolto in uno spesso mantello con il cappuccio che nascondeva il viso. Tre mantelli erano bianchi come la neve, tre erano verdi come l’erba nuova, tre erano dorati come campi di grano maturo, tre erano viola come grappoli d’uva. Erano i dodici Mesi dell’anno.
La povera Aurora tremava per il freddo e la paura. Si avvicinò e con la sua vocina domandò: «Gentili signori, posso scaldarmi un pochino al vostro fuoco? Sono tutta gelata».
Lunga barba bianca e bastone di comando in mano (era il suo turno), Gennaio rispose: «Che cosa cerchi, figliola?»
Aurora, quando si fu un po’ riscaldata, spiegò quale fosse il suo problema: «Devo trovare delle violette, altrimenti i miei zii e mia cugina mi picchieranno».
Gennaio si rivolse ad un giovane con la testa coperta da un cappuccio verde: «Fratello Marzo» gli disse passandogli il bastone «questa cosa riguarda te».
Marzo fece roteare il bastone sopra il fuoco. D’incanto, mentre le fiamme si alzavano impetuose, la neve lasciò i rami degli alberi e la radura del bosco per far posto a una fantastica fioritura di violette che sembravano pezzetti di cielo finiti nell’erba.
Aurora ne colse un bel mazzetto; poi, attraversando un luminoso paesaggio marzolino, ritrovò facilmente la strada di casa.
La zia Geltrude l’accolse malissimo: «Hai impiegato troppo tempo per trovare le violette e ora Domitilla non sa più che farsene! Desidera mangiare un bel cestino di profumate fragole di bosco. Corri subito fuori a cercarle», sbraitò severa. «E vedi di fare in fretta! L’anno comincerebbe male se il desiderio della mia cara Domitilla rimanesse insoddisfatto. E porta solo fragoline dolci, ricordati!».
Aurora aveva le lacrime agli occhi e un grosso sconforto nel cuore. Davvero l’anno cominciava malissimo, per lei!
Si sentiva stanca e infreddolita e soprattutto non aveva proprio nessuno che si preoccupasse almeno un pochino per lei. Rassegnata, la fanciulla riprese la via del bosco, che nel frattempo era tornato al gelo invernale.
Poco dopo ritrovò i dodici Mesi seduti intorno al fuoco. Gennaio l’accolse con un gran sorriso e la pregò di avvicinarsi, di andare a scaldarsi accanto a loro. Ma Aurora era così triste da non riuscire nemmeno a parlare. «Adesso devo trovare delle fragole. E subito», singhiozzava. «E non importa se c’è la neve, se il tempo è gelido, la terra è addormentata e io ho addosso solo questo vestitino di cotone e un grembiulino che non mi ripara niente…».
I dodici Mesi la ascoltavano preoccupati e increduli, con le facce giovani o vecchie, allegre o serie, ma tutte dipinte di affetto e di simpatia.
«Fratello Giugno, tocca a te!» disse Gennaio.
Giugno era un tipo simpatico, con una bella tunica color giallo acceso, ciliege per orecchini, un papàvero all’occhiello e un paio di baffoni a manubrio. Salì con un balzo sulla roccia più alta, agitò il bastone che Gennaio gli aveva prestato e nel bosco l’estate prese repentinamente il posto dell’inverno. Il cielo si tinse di bianco e di azzurro intenso. Piccoli cespi verdissimi si caricarono di fragoline rosse rosse, come rubini d’aurora incastonati nella terra.
Aurora, felice, raccolse le fragole, ringraziò Giugno e si avviò, svelta svelta, verso casa.
Giunse a casa felice. Domitilla si dimostrò soddisfatta del dono. Si sbafò le fragole, ma poi avanzò nuove pretese.
«Adesso voglio una mela rossa!», strillò battendo i piedi per terra.
Aurora dovette ritornare nel bosco, che l’inverno era tornato a stringere nel suo gelido abbraccio. La fanciulla tremava per il freddo e per la disperazione: che razza di vita era mai la sua? Era molto scoraggiata, tanto che quasi perse la strada. Ma si fece forza e ritrovò la radura dove erano radunati i dodici Mesi.
Si dimostrarono sorpresi del suo ritorno, ma accettarono di buon grado di aiutarla. Questa volta toccò a Settembre trovare la soluzione. Il buon Mese avvolto nel manto violetto roteò il bastone di comando e fece apparire un tiepido paesaggio settembrino che aveva al suo centro un albero carico di mele mature.
Aurora colse due mele, ringraziò calorosamente l’amico Settembre e corse a casa. La perfida Geltrude la rimproverò: «Perché hai portato solo due mele, brutta scioperata! Ti sei certamente mangiata le altre!» E cominciò a percuoterla.
Domitilla morse una mela e la trovò squisita e, punta dalla curiosità, volle sapere dove avesse trovato un melo carico di frutti maturi in pieno inverno.
Aurora raccontò tutto: il cammino nella neve fino alla radura nel bosco, l’incontro con i dodici Mesi, l’aiuto che per ben tre volte essi le avevano dato.
La zia Geltrude ne dedusse che, se era così semplice, anche Domitilla avrebbe potuto andare nel bosco per procurarsi tutte le mele che voleva. Seguendo i consigli della mamma, poco dopo, ben protetta da una calda pelliccia, Domitilla si incamminò verso la radura di cui aveva parlato Aurora.
Cammina, cammina, s’inoltrò tra gli alberi e ben presto arrivò alla radura descritta dalla cugina. I dodici Mesi stavano come al solito seduti intorno al fuoco, con Gennaio ancora assiso sulla roccia spettante al Mese in carica. Con atteggiamento arrogante e scortese, Domitilla si avvicinò al fuoco senza chiedere permesso a nessuno.
I dodici Mesi la guardarono in silenzio, apparentemente calmi e tranquilli; ma un osservatore un po’ attento avrebbe potuto vedere che le loro barbe fremevano, i loro baffi si arricciavano nervosamente e le loro ricche chiome vibravano d’inquietudine.
Domitilla però, abituata a pensare solo a se stessa e del tutto priva di sensibilità, non si accorse di niente. Si preoccupò solo di chiedere con sbrigativa superbia: «Dov’è l’albero di mele? E già che sono venuta fin qui, ditemi anche dove stanno le fragoline di bosco e le violette!».
Gennaio, saggio e solenne, spiegò a Domitilla che solo in circostanze straordinarie era possibile sovvertire l’ordine dei Mesi e delle stagioni. Poi le chiese: «Tu che ragione hai per chiedere frutta e fiori fuori stagione?».
«II motivo lo so io e basta!», rispose sgarbatamente Domitilla.
Profondamente offeso da un simile atteggiamento, il vecchio barbuto Gennaio decise che quella maleducata meritava una lezione. Fece ruotare il suo bastone sulle fiamme e il fuoco scomparve, cancellato da una tremenda bufera di vento e neve che inghiottì anche Domitilla.
La zia Geltrude, non vedendo tornare la prediletta Domitilla, pensò: «Forse la mia bambina ha trovato tante di quelle mele da non riuscire a trasportarle da sola. Vado ad aiutarla». Prese una grossa cesta e si avventurò nella bufera. Vagò per ore nel bosco, alla ricerca di Domitilla, e alla fine si perse e nessuno la vide mai più. A casa, intanto, Aurora aspettava la madre e la sorella. Dopo sette giorni e sette notti, Aurora si affacciò per l’ennesima volta sulla porta per scrutare la strada che portava al bosco e la vide ancora deserta.
A Primavera, nella foresta, furono trovate due statue di ghiaccio che piano piano si trasformarono in un rigagnolo d’acqua che sparì tra le fragoline e le violette.
Il gioco
il gioco del grazie
Per i più grandi
Pulo da sapo (BRASILE)
I giocatori vengono divisi in due squadre, che si schierano agli estremi opposti del campo di gioco, ciascuna con i propri giocatori disposti uno accanto all’altro. A un segnale del conduttore tutti i giocatori fanno un salto in avanti a piedi uniti. Chi allontana un piede dall’altro o tocca terra con qualsiasi parte del corpo che non siano i piedi, torna sulla linea di partenza. A un nuovo segnale i giocatori fanno un altro salto, sempre a piedi uniti, e così via. Man mano che il gioco va avanti, chi sbaglia il salto non torna più sulla linea di partenza, ma si ferma all’altezza dell’ultimo dei suoi compagni di squadra (quello più indietro degli altri). Chi raggiunge l’estremo opposto del campo si ferma e incita i compagni. Vince la squadra che attraversa per prima, al gran completo, il campo di gioco.
La preghiera del giorno
Lodate il Signore dai cieli, lodatelo dall’alto dei cieli.
Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere.
Lodatelo sole e luna,
lodatelo voi tutte stelle splendenti.
Lodatelo cieli dei cieli.
Tutti lodino il nome del Signore.
Gli angeli ti lodano dal cielo,
e io dalla terra.
Nessuno è più grande di te, Signore. Nessuno è più buono di te, Signore.
Tutto canta a te, Signore, padrone delle cose buone.