I regali del mandarino
Il nocciolo della storia
La storia consente due letture. La prima dimostra semplicemente come la divisione e la gelosia impediscano di risolvere un problema tutto sommato semplice: tutti e tre i personaggi possiedono un pezzo della soluzione. Con un rapporto leale e sincero, si sarebbero salvati.
Con i bambini più grandicelli, si può affrontare il tema anche da punto di vista ecumenico: con la divisione c’è tutto da perdere. Tutti i cristiani devono mettere in comune, con sincerità e pazienza, i doni che possiedono.
C’era una volta un potente Mandarino del Liaoning, capo indiscusso di una vasta regione agricola in Manciuria, che fu preso da una grande curiosità per la religione degli occidentali. Inviò un suo ambasciatore per prendere contatti con tutti i centri religiosi cristiani che, dopo qualche titubanza, accettarono di mandare dei rappresentanti in Manciuria.
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C’era una volta un potente Mandarino del Liaoning, capo indiscusso di una vasta regione agricola in Manciuria, che fu preso da una grande curiosità per la religione degli occidentali. Inviò un suo ambasciatore per prendere contatti con tutti i centri religiosi cristiani che, dopo qualche titubanza, accettarono di mandare dei rappresentanti in Manciuria.
Così, un giorno, giunsero al palazzo del mandarino un missionario cattolico, un pastore protestante e un prete ortodosso, scelti tra i più esperti e raffinati teologi delle diverse confessioni cristiane.
Arrivarono nel cuore della breve ma ricca stagione dei raccolti agricoli: quando i contadini portano a casa sorgo, miglio, soia, granturco, girasole, frumento e fogliame di gelso per l’allevamento dei bachi selvatici produttori della famosa seta tussah.
L’accoglienza del mandarino, uomo intelligente, abile, astuto, fu signorile, festosa, indagatrice ma attenta e cordiale. Per due mesi i missionari cristiani esposero a tre voci al mandarino e ai suoi saggi le loro differenti versioni della fede, i loro principi di vita morale e le diverse regole di convivenza ecclesiale.
All’inizio del terzo mese, giunti ormai nell’imminenza della stagione delle piogge, il Mandarino fece chiamare i tre missionari del Signore, li ringraziò solennemente, si riservò di comunicare più tardi le proprie scelte e decisioni ai loro Capi e, con ammirevole generosità, offrì in dono, a ciascuno dei tre, un cofanetto d’oro intarsiato di gemme preziose.
Poi li accomiatò e li fece accompagnare fuori città lungo la pista che conduceva, attraverso aspri sentieri, al di là della catena montagnosa del Khingan verso il confine del fiume Amur.
Quante fatiche, quanti rischi, quanti pericoli si debbono affrontare per portare l’annunzio della fede ai fratelli lontani!
Ma i tre intrepidi missionari cristiani, che ogni sera si separavano per ritirarsi in solitudine e pregare in modo diverso lo stesso Signore, superarono le asprezze del cammino e le insidie di tanti pericoli.
Non parlavano molto tra loro, perché un sottile velo di gelosia aveva riacceso un mai completamente sopito clima di sospetto nei loro cuori. Infatti tutti e tre si erano accorti vistosamente che il cofanetto dei cattolici era ben più voluminoso di quello dei protestanti. Lo scrigno dei fratelli ortodossi era poi ridotto addirittura ad una cosuccia piccola piccola: poco più di un astuccio porta-anelli!
Per non risvegliare tra di loro futili liti o feroci contese i tre missionari decisero di comune accordo di non aprire mai e poi mai i loro cofanetti e di ignorare volutamente il loro contenuto fino al loro rientro in Europa.
Il viaggio proseguì abbastanza bene finché i tre non giunsero sulle rive del fiume Amur: un fiume nero, gonfio di acque, immenso, gelido, pauroso. E qui si accorsero di essere stanchi, sfiniti e, soprattutto, senza alcun mezzo per attraversare il fiume. Cominciarono per loro i giorni amari della disperazione. Gli intrepidi missionari si trovarono inesorabilmente bloccati. Per di più, in quei giorni, cominciarono a soffiare i freddi monsoni del nord e i tre poveracci si trovarono ridotti a mal partito.
Dopo aver vagolato sperduti per quattro giorni sotto l’infuriare di una tormenta di neve, al ritorno di un pallido sole i missionari si accorsero di aver esaurito pressoché completamente le loro cibarie. Fu il momento più orribile. Davanti agli occhi dei tre generosi uomini cominciò a baluginare incombente la corona del martirio.
Morire di fame in nome della fede avrebbe potuto essere, per i loro futuri agiografi, un gesto di autentico eroismo; ma morire di fame a due passi dal fiume Amur dove sovrabbondavano storioni, trote salmonate, sciami di pesci di tutte le forme e di tutti i colori, insieme a crostacei di tutti i tipi, era oltretutto una beffa crudele.
«Se riuscissimo a pescare qualche pesce potremmo farcela!» si dicevano.
Tentarono di sporgersi, ma la corrente implacabile tentava immediatamente di ghermirli e trascinarli via.
Provarono con le pietre e con dei pezzi di legno. Non c’era niente da fare. Si accasciarono nei loro ripari di fortuna attendendo invano dei soccorritori che non vennero mai.
L’estate seguente, alcuni rozzi pastori kirghisi, giunti sul posto, trovarono inspiegabilmente, sulla riva dell’Amur, gli scheletri di tre ignoti viandanti accanto a tre preziosissimi cofanetti d’oro.
Aperto il primo, il più grande, trovarono dentro, divisa in cinque pezzi innestabili, una preziosa canna da pesca in bambù legato in oro; nel secondo rinvennero una lenza in pura seta tussah; nel terzo un robusto amo in argento.
Se i tre disgraziati, invece di lasciarsi accecare dalla gelosia, avessero messo in comune ecumenicamente i loro doni… probabilmente sarebbero ancora là a pescare pesci e anime, in Manciuria.
Il gioco
il gioco del grazie
Per i grandi e piccoli
Kewirgei KENYA
Si tracciano due righe a 8-10 metri una dall’altra. A metà strada tra queste due righe si posano 20 tappi metallici, sparsi a terra. Un giocatore si sposta accanto ai tappi, tutti gli altri si dispongono dietro le due righe, metà dietro una e metà dietro l’altra. Al via il giocatore in mezzo al campo deve cercare di costruire una torre posando i tappi uno sull’altro senza farsi colpire da una palla che i compagni gli lanciano contro. Chi raccoglie la palla quando è tra le due righe non può lanciarla, ma deve passarla a un compagno perché lo faccia lui. Se il giocatore in mezzo al campo riesce a costruire la torre, può far fare una piccola penitenza a tutti i compagni. Se viene colpito dalla palla prima di essere riuscito a terminare la torre, lascia il posto al compagno che ha lanciato la palla. Prima che il gioco riprenda, i tappi devono essere di nuovo sparpagliati tutti e venti a terra.
La preghiera del giorno
Dio, sei buono. Tu mi ami.
Grazie per questo amore che mi dai, e che sempre mi darai!
È più sicuro, Signore, confidare in te
che negli uomini, anche i più potenti!
Sei il più forte! Grazie a Te, non morirò,
Io vivrò!
E dirò a tutti,
le meraviglie che fai per noi.
La pietra che i muratori hanno scartato è diventata la pietra principale,
la pietra angolare.
Sei tu, Signore, che hai fatto questa meraviglia.
Oggi è un giorno di festa! Oggi è un giorno di gioia!
Signore, ci farai vincere!
Signore, tu ci salverai!