CHIARA LUCE BADANO
testimoni
A Sassello, un paesino dell’entroterra ligure in provincia di Savona appartenente alla diocesi di Acqui (Piemonte), il 29 ottobre 1971 nasce Chiara, dopo undici anni di attesa.
Chiara è una ragazza aperta alla grazia, sempre pronta ad aiutare i più deboli, si corregge docilmente e si impegna a essere buona.
Tutto prosegue nella normalità finché, nel corso di una partita di tennis, un lancinante dolore alla spalla sinistra la costringe a lasciar cadere a terra la racchetta. Dopo una lastra e un’errata diagnosi, si provvede al ricovero. La TAC evidenzia un osteosarcoma. È il 2 febbraio 1989. Chiara ha diciassette anni.
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I genitori, Maria Teresa e Fausto Ruggero Badano esultano e ringraziano la Madonna, a cui il papà aveva chiesto la grazia di un figlio. La piccola mostra subito un temperamento generoso, gioioso e vivace,ma anche un carattere franco e determinato. La mamma la educa attraverso le parabole del Vangelo ad amare Gesù, ad ascoltare la Sua vocina e a Chiara prega volentieri a casa e a scuola!
Chiara è aperta alla grazia; sempre pronta ad aiutare i più deboli, si corregge docilmente e si impegna a essere buona. Vorrebbe che tutti i bimbi del mondo siano felici come lei; in modo speciale ama i bambini dell’Africa e, a soli quattro anni dopo che viene a conoscenza della loro estrema povertà, afferma: «D’ora in poi penseremo noi a loro!».
A questo proposito, a cui mantiene fede, seguirà molto presto la decisione di divenire medico per poterli andare a curare.
Dai quaderni delle prime classi elementari traspare tutto il suo amore per la vita: è una bambina davvero felice.
Piena di sogni e di entusiasmi a nove anni scopre il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich con cui intesse una filiale corrispondenza. Ne fa suo l’ideale sino a coinvolgere i genitori nel medesimo cammino.
Terminate le elementari e le medie, Chiara sceglie il liceo classico.
L’aspirazione a divenire medico per recarsi in Africa non è sfumata. Ma il dolore inizia a entrare nella sua vita: non compresa e accettata da un’insegnante, viene respinta. A nulla vale la difesa dei compagni: deve ripetere l’anno. Dopo un primo momento di sconforto, sul suo volto riappare il sorriso. Decisa affermerà: «Amerò i nuovi compagni come ho amato quelli di prima!» e offre la sua prima grande sofferenza a Gesù.
Chiara vive in pieno la propria adolescenza: nel vestirsi ama il bello, l’armonia dei colori, l’ordine, ma non la ricercatezza.
Alla mamma che la invita a vestire abiti un po’ più eleganti replica: «Io vado a scuola pulita e ordinata: ciò che conta è essere belli dentro!» e si trova a disagio se le dicono che è proprio bella.
Ma tutto questo la porta più volte a esclamare: «Quant’è duro andare controcorrente!».
Tutto prosegue nella normalità finché, nel corso di una partita di tennis, un lancinante dolore alla spalla sinistra la costringe a lasciar cadere a terra la racchetta. Dopo una lastra e un’errata diagnosi, si provvede al ricovero.
La TAC evidenzia un osteosarcoma. È il 2 febbraio 1989. Chiara ha diciassette anni.
Inizia così la sua “via crucis”: viaggi, esami clinici, ricoveri, interventi e cure pesanti; da Pietra Ligure a Torino.
Quando Chiara comprende la gravità del caso e le poche speranze non parla; rientrata a casa dall’ospedale chiede alla mamma di non porle domande. Non piange, non si ribella né si dispera. Si chiude in un assorto silenzio di 25 interminabili minuti. È il suo “orto del Getsemani”: mezz’ora di lotta interiore, di buio, di passione…, per poi mai più tirarsi indietro.
Ha vinto la grazia: «Ora puoi parlare, mamma!», e sul volto torna il sorriso luminoso di sempre. Ha detto sì a Gesù.
Quel «sempre sì», che aveva scritto da bambina su una piccola rubrica alla lettera esse, lo ripeterà sino alla fine. Alla mamma, per rasserenarla, non mostra alcuna preoccupazione: «Vedrai, ce la farò: sono giovane!».
Il tempo scorre implacabile e il male galoppa trasferendosi al midollo spinale. Chiara si informa di tutto, parla con i medici e con gli infermieri. La paralisi la blocca, ma arriverà ad affermare: «Se adesso mi chiedessero se voglio camminare, direi di no, perché così sono più vicina a Gesù». Non perde la pace; rimane serena e forte; non ha paura. Il segreto? «Dio mi ama immensamente». Incrollabile la sua fiducia in Dio, nel suo «Papà buono».
Vuole compiere sempre, e per amore, la Sua volontà: vuole «stare al gioco di Dio».
Profondamente umile e dimentica di sé, è disponibile ad accogliere e ascoltare quanti l’avvicinano, in particolare i giovani a cui lascerà un ultimo messaggio: «I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, ma vorrei passar loro la fiaccola come alle Olimpiadi… I giovani hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene».
Nelle notti insonni canta e, dopo una di queste -forse la più tragica- affermerà: «Soffrivo molto fisicamente, ma la mia anima cantava», confermando la pace del suo cuore. Negli ultimi giorni riceve da Chiara Lubich il nome di Luce: “Perché nei tuoi occhi vedo la luce dell’Ideale vissuto sino in fondo: la luce dello Spirito Santo”.
In Chiara ormai non c’è che un grande desiderio: andare in Paradiso, dove sarà «tanto, tanto felice»; e si prepara alle «nozze». Chiede di essere rivestita con un abito da sposa: bianco, lungo e semplice.
Predispone la liturgia della “sua” Messa: sceglie le letture e i canti…
Nessuno dovrà piangere, ma cantare forte e fare festa, perché «Chiara incontra Gesù»; gioire con lei e ripetere: «Ora Chiara Luce è felice: vede Gesù!». Poco tempo prima aveva affermato con certezza: «Quando una giovane di diciassette-diciotto anni va in Cielo, in Cielo si fa festa».
Le offerte della Messa dovranno essere destinate ai bambini poveri dell’Africa, come aveva già fatto con il denaro ricevuto in regalo per i 18 anni. Questa la motivazione: «Io ho Tutto!» Come avrebbe potuto fare diversamente, se non pensare sino alla fine a chi non ha nulla?
Alle 4,10 di domenica 7 ottobre 1990, giorno della Resurrezione del Signore e festa della Vergine del Santo Rosario,
Chiara raggiunge il tanto amato «Sposo».
Era solita dire
Ero troppo assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà cosa. Ora mi sembrano cose insignificanti, futili e passeggere… Ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela. Se adesso mi chiedessero se voglio camminare (l’intervento la rese paralizzata), direi di no, perché così sono più vicina a Gesù.
Ho scoperto che Gesù Abbandonato è la chiave per l’unità con Dio e voglio sceglierlo come mio sposo e prepararmi per quando viene.
Mamma Celeste, ti chiedo il miracolo della mia guarigione; se ciò non rientra nella volontà di Dio, ti chiedo la forza a non mollare mai! .
I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. I giovani hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene! .
Sono santa, se sono santa subito.
Materiali Utili
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