AUDIOGUIDE
“Giovanni Bosco nasce il 16 agosto 1815. Da poco più di due mesi (9 giugno) a Vienna si è concluso il Congresso dal quale è scaturita una diversa sistemazione dell’Europa dopo l’esperienza rivoluzionaria e napoleonica. Siamo agli albori del periodo storico chiamato Restaurazione, per la volontà dei governanti di riesumare le istituzioni politiche e sociali dell’antico regime. Anche re Vittorio Emanuele I, ritornato dalla Sardegna nei suoi stati di terraferma (Piemonte, Savoia, Nizzardo, a cui il Congresso di Vienna annette anche la Liguria), con editto del 21 maggio 1814 abroga tutte le leggi, decreti e disposizioni del governo francese, restituendo vigore giuridico alle Costituzioni emanate nel 1770 da Carlo Emanuele III e alle leggi particolari formulate fino al 23 giugno 1800. Il tentativo, condotto rafforzando nuovamente la nobiltà a scapito della borghesia compromessa col governo precedente, si dimostra presto fallimentare e suscita divisioni, risentimento e malcontento.“
Castelnuovo Don Bosco
Il paese di Castelnuovo
Madonna del Castello
Parrocchiale Sant’Andrea
Nella parrocchiale di Sant’Andrea ricevettero il Battesimo e la Comunione Don Bosco, San Giuseppe Cafasso e il Beato Allamano. A quindici anni Giovannino Bosco frequentò qui la scuola (per la distanza prese pensione presso un sarto dal quale imparò a cucire e a suonare l’organo). Interessanti da visitare sono la chiesa della Madonna del Castello, la casa del Cafasso e la casa-museo dell’Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata.
Scopri di più
Castelnuovo don Bosco
Fertile centro agricolo della provincia di Asti, noto per le sue produzioni vinicole, si arrocca su un dosso collinare del basso Monferrato, a 240 metri di altitudine ed è lambito dal torrente Traversola. Dista dal capoluogo 30 chilometri, ma gravita preferenzialmente intorno a Torino, da cui è distante 20 chilometri circa. Oggi conta circa 2800 abitanti, mentre ai tempi di don Bosco ne aveva 3000. Comprendeva quattro «villate»: Bardella, Nevissano, Ranello (dove abitavano i nonni paterni di Domenico Savio) e Morialdo. Era capoluogo di mandamento con giurisdizione sui comuni di Albugnano, Berzano, Buttigliera, Mon cucco, Mondonio, Pino e Primeglio.
Nell’Ottocento vi si tenevano mercato il giovedì di ogni settimana e due fiere annuali, una il primo martedì dopo Pasqua e l’altra l’ultimo lunedì di novembre, dedicate soprattutto al commercio del bestiame, dei drappi e delle tele.Patria di don Bosco, dal quale oggi prende nome, ha dato i natali anche ad altri insigni personaggi della Chiesa dell’Ottocento. Ricor diamo: san Giuseppe Cafasso (1811-1860), confessore e amico di don Bosco, grande direttore spirituale e formatore di sacerdoti; il beato canonico Giuseppe Allamano (1851-1926), nipote del Cafasso, allievo di don Bosco e fondatore dei Missionari e delle Missionarie del la Consolata; il card. Giovanni Cagliero (1838-1926), uno dei primi discepoli di don Bosco e iniziatore delle opere salesiane in Sudamerica; mons. Giovanni Battista Bertagna (1828-1905), prima chierico convittore all’Oratorio, poi professore di teologia morale e rettore del Convitto Ecclesiastico, infine vescovo ausiliare e rettore del semina rio di Torino.Lo stesso Domenico Savio, durante il periodo della sua permanenza a Morialdo (1844-1853), frequenta le elementari superiori di Castel nuovo (dal 21 giugno 1852 al febbraio 1853, quando con i genitori si trasferisce a Mondonio).Il nonno di don Bosco, Filippo Antonio, che proveniva da Chieri, prima di trasferirsi definitivamente ai Becchi (1793)abitò per un certo periodo a Castelnuovo.Sulla piazzetta (piazza don Bosco) alla base della salita che porta al municipio e alla chiesa parrocchiale si può ammirare un monumento in marmo rappresentante don Bosco tra due ragazzi: uno europeo e uno indio. Opera di Giovanni Antonio Stuardi (scultore di Poirino), fu eretto dai castelnovesi nel 1898, a dieci anni dalla morte del Santo, primo monumento in sua memoria che sia stato costruito.
Morialdo
Una frazione di Castelnuovo: presso la chiesa di San Pietro, Giovannino ricevette le prime lezioni di latino da Don Calosso; la famiglia Savio vi soggiornò per una decina d’anni.
Leggi tutta la biografia
MORIALDO
A nord del santuarietto di Maria Ausiliatrice e della casa di Giuseppe una strada, che si snoda sul crinale della collina, raggiunge, dopo circa 2 chilometri, il gruppo di abitazioni che da il nome alla frazione Morialdo.
Casa di san Domenico Savio
Arrivando dal Colle, si incontra anzitutto, sulla destra, un edificio sul quale una lapide del 1910 ricorda la permanenza della famiglia Savis In questa casa, allora proprietà dei Viale, dal novembre 1843 al febbraio 1853 (si noti che le della lapide non sono esatte) abito san Domenico Savio (1842-1857). Il padre Carlo, di professione fabbro ferraio, e la mamma Brigida, sarta, vi si erano trasferiti da S. Giovanni di Riva presso Chieri, quando Domenico aveva appena un anno d’età. Si sposteranno poi, definitivamente, a Mondonio. Questi traslochi erano imposti dall’esigenza di trovar lavoro, poiché la famiglia non possedeva beni immobili.Le mura che vediamo testimoniano l’infanzia serena di Domenico l’educazione attenta e solida impartitagli dai genitori e dal cappellando Don Bosco, raccontando la vita del suo allievo, presenta una serie d’ episodi avvenuti proprio in questa casa. Ricordiamo, in particolare, i gesti di affetto nei riguardi del padre che torna a casa dopo il lavoro e il rifiuto di mettersi a tavola con l’ospite che si è seduto senza pregare
Chiesa di san Pietro e casa del cappellano
Continuando il cammino si giunge alla cappella della frazione, dedicata a san Pietro. Era la chiesa frequentata ordinariamente dalle famiglie dei Becchi, troppo lontane dalla parrocchia di Castelnuovo. Nella casa addossata al muro di levante abitava un cappellano stipendiato dalle famiglie della borgata e incaricato dal parroco della cura pastorale della zona. Qui Giovannino, verso gli undici o dodici anni, durante la festa patronale, si preoccupa di convincere la gente a interrompere I divertimenti e partecipare alle funzioni vespertine (cf MB 1, 144-146). Ma, in modo particolare, il luogo è legato al ricordo di due persone che ebbero un ruolo decisivo nella vita del Santo: don Giovanni Calosso e san Giuseppe Cafasso.
Don Calosso e Giovannino Bosco
Nell’estate del 1829 giunge a Morialdo don Giovanni Melchiorre Calosso (Chieri 1760-Morialdo 1830) ed assume la cura pastorale della zona, come cappellano. Era stato parroco a Bruino (1791-1813), poi, dimessosi per una serie di calunnie ed incomprensioni, aveva aiutato nel ministero prima il fratello Carlo Vincenzo, parroco di Berzano di San Pietro (Asti), poi il parroco di Carignano. Abitava la piccola canonica che ancora oggi vediamo. Egli svolge un ruolo determinante nella formazione di Giovanni adolescente, reduce dalla cascina Moglia e in difficili rapporti col fratello Antonio. Il primo incontro tra i due avviene lungo la discesa che da Buttigliera porta a Morialdo, tra il 5 e il 9 novembre 1829, mentre rincasano dopo aver partecipato alla predicazione delle missioni svolte nella zona per il Giubileo straordinario indetto da Pio VIII. Nel dialogo don Calosso scopre l’intelligenza e la bontà d’animo di Giovanni e si offre di aiutarlo negli studi. Incomincia così un’amicizia profonda e costruttiva, attraverso la quale l’anziano sacerdote, ancor più che i rudimenti della lingua latina, insegna al quattordicenne contadino i primi passi di una autentica vita spirituale.
Giovanni, dopo aver fatto per un po’ la spola tra casa e canonica, dividendo il suo tempo nei lavori campestri e nello studio, si stabilisce presso il cappellano, offrendo in cambio i suoi servizi. Vive così alcuni mesi di serena pace e di intenso studio, pur continuando ad aiutare familiari (cf MO 50).Purtroppo il 21 novembre 1830 un infarto stronca don Calosso, Giovanni consegna ai parenti del sacerdote la chiave della piccola cassaforte, che pure gli era stata donata dal morente. Lo scrigno contiene ben 6000 lire (cf MB 1, 217), una cifra notevole se si pensa che al tempo lo stipendio annuo di un professore di scuola pubblica si aggira va sulle 600-700 lire.
San Giuseppe Cafasso (1811-1860) sarà maestro di teologia pastorale, confessore e direttore spirituale di don Bosco durante i primi vent’anni del suo sacerdozio. Quando nel 1841, dopo l’ordinazione sacerdotale, Giovanni Bosco si troverà a decidere su alcune proposte di impiego pastorale – tra le quali quella di cappellano proprio a Morialdo-il Cafasso lo convincerà a frequentare il Convitto Ecclesiastico di Torino per un perfezionamento culturale e pastorale.
La chiesa di San Pietro e Domenico Savio
Qualche anno dopo, la piccola chiesetta del borgo vede anche le preghiere e il fervore di Domenico Savio fanciullo, che nei dieci anni circa di permanenza a Morialdo si presta ordinariamente a servir Messa a don Giovanni Zucca (1818-1878) cappellano.Don Zucca funge anche da maestro elementare per i ragazzi della frazione. La scuola – aperta nell’anno scolastico 1847-1848 in seguito ad una serie di provvedimenti legislativi sfociati poi nella Legge Bon compagni del 1848- era collocata in una stanza al pian terreno della canonica. Vi si accede dall’interno della chiesa, sul lato desto della porta d’ingresso.Domenico la frequenta dal 1848 al 1850. Quando l’età e la salute glielo permetteranno, continuerà i suoi studi nelle scuole elementari superiori di Castelnuovo (1852-1853).
La collina in regione
Lungo la strada provinciale, alla destra di chi va dai Becchi a Castelnuovo, proprio di fronte al bivio per Buttigliera, sul pendio di una collina coltivata a vigneti si vede biancheggiare la casa del Sussambrino.
La cascina
Nel 1830 Giuseppe Bosco, appena diciottenne, prende in affitto questo podere in collaborazione con Giuseppe Febbraro e si trasferisce nella cascina, portando con sé mamma Margherita e il fratello Giovanni. Tornano così la serenità familiare ed un briciolo di sicurezza economica in più, anche se il lavoro si raddoppia. La madre e il figlio minore, infatti, alternano la loro residenza tra questa abitazione e i Becchi, secondo le necessità dei lavori agricoli.Giovanni, che dopo la morte di don Calosso si è iscritto alle scuole comunali di Castelnuovo e le frequenta a partire dalla metà di dicembre 1830, si vede facilitato per la riduzione delle distanze. La strada da percorrere a piedi quattro volte al giorno rimane tuttavia faticosa, soprattutto nel periodo invernale per le nevi e il gelo intenso. Margherita, per aiutarlo, gli trova alloggio in Castelnuovo.In questo luogo i Bosco rimangono nove anni. Nel frattempo Giuseppe sposa Maria Calosso (9 maggio1833). Dal matrimonio nascono Margherita (1834, vive solo due mesi e mezzo), Filomena (1835 1926) e Rosa Domenica (1838-1878). Altri sette figli nasceranno nella nuova casa dei Becchi, tra 1841 e 1856.Giovanni, che dal 1831 si è trasferito a Chieri per frequentarvi la scuola pubblica prima e il seminario poi, ritorna durante le vacanze estivo-autunnali al Sussambrino. Fattosi ormai robusto giovanotto, presta un valido aiuto nel podere, sfruttando però ogni momento libero per i suoi studi. Il busto in bronzo collocato sul muro del rustico ricorda questi anni laboriosi e felici.
I vigneti e la fontana della Renenta
Sul pendio esposto al sole esistevano – e in parte restano ancora – rigogliosi vigneti. C’era anche la vigna dell’amico Giuseppe Turco, al quale Giovanni, mentre custodivano le uve al tempo della vendemmia, rivelò lo scopo del suo impegno nello studio: diventare sacerdote a favore dei giovani poveri e abbandonati. A lui raccontò anche un sogno fatto al Sussambrino. Gli era parso di vedere la valle sottostante tra mutata in una grande città con turbe di ragazzi schiamazzanti nelle strade e nelle piazze. Come nel sogno dei nove anni, un Personaggio maestoso e una Signora gli avevano indicato il modo di trasformare quei ragazzacci in buoni cristiani.Ai piedi della collina, proprio sulla strada, esiste ancora un arco in mattoni che copre un’antica vasca in cui si raccoglie l’acqua di una polla sorgiva. È la fontana detta della Renenta, dal nome del pendio che dal Sussambrino va verso i Becchi. Il piano stradale attuale è sopra elevato rispetto all’antico e passa ad una certa distanza. Durante il periodo di rimaneva punto di rifornimento idrico per i contadini della zona. Possiamo pensare che anche Giovannino Bosco si sia dissetato più di una volta a questa fonte, e vi abbia portato il bestiame. La vigna di Giuseppe Turco, tanto cara a don Bosco, era vicinissima alla fontana ed egli in seguito dirà: «I miei studi li ho fatti nella vigna di Giuseppe Turco alla Renenta»
Capriglio
Il paese di Mamma Margherita; Giovannino vi frequentò alcuni corsi elementari. Un piccolo museo custodisce il ricordo di tale periodo e di mamma Margherita.
Scopri di più
CAPRIGLIO
Casa nativa di mamma Margherita
A due chilometri circa dai Becchi troviamo Capriglio (230 metri sul livello del mare), un piccolo paese composto da frazioni e borgate sparse tra il verde delle colline. Alla frazione Cecca (sulla destra per chi dai Becchi va verso il paese), esiste ancora la casa ove Margherita, la mamma di don Bosco, nacque il 1 aprile 1788, sesto genita di Mel chiorre Occhiena e Domenica Bossone. Una costruzione molto semplice, di struttura rurale, oggi ben restaurata e nuovamente abitata. Sulla facciata una lapide ricorda l’e vento. Nel cortile un pozzo, tutt’ora esistente, forniva l’acqua per il fabbisogno quotidiano.
Qui abitò Margherita fino al giorno delle nozze e qui, probabilmente, continuo ad abitare suo fratello, lo zio Michele (1795-1867), vali do aiuto nel momenti difficille. Fu lui a condurre via dalla Cascina Mo glia Giovanni, ad appoggiarlo nel suo desiderio di frequentare le scuole e a trovargli sistemazione in Chieri.È Interessante notare che il nonno materno di don Bosco, Melchiorre, morì l’11 gennaio 1844 all’età di 92 anni; ebbe così la gioia di vedere il nipote sacerdote.Chiesa parrocchiale e casa di don Giuseppe l’acqua.A un chilometro circa dalla casa degli Occhiena sorge la Parrocchiale di Capriglio, Margherita, che vi fu battezzata il giorno stesso in cui nacque, la frequentò assiduamente per tutto il tempo che rimase al paese e vi celebrò il matrimonio con Francesco Bosco il 6 giugno 1812. Sulla piazza di fianco alla chiesa s’affaccia la casa nella quale abitava il maestro del paese don Giuseppe l’acqua. Ora in questi ambienti è stato allestito un Museo Mamma Margherita. Al primo piano il maestro raccoglieva i bambini della scuola primaria comunale. Anche Giovannino fu suo allievo almeno per due inverni. Egli, pur appartenendo ad un altro comune, fu accolto grazie all’interessamento della zia Marianna Occhiena (1785-1857), domestica di don l’acqua. La data di questa frequenza scolastica è incerta, da collocarsi tra il 1824 e il 1827. Si tratta del primo incontro di don Bosco con la scuola. Durante questo periodo il fanciullo abitava con nonni e zil nella casa del la frazione Cecca.
Mondonio
Il paese di Domenico Savio (vi morì il 9 marzo 1857). Nella casa sono raccolti alcuni ricordi di famiglia. Da qui Domenico, con suo padre, andò a incontrare Don Bosco: il sentiero percorso da Domenico è indicato da apposita segnaletica per quanti amano ripercorrere i passi e meditare i sentimenti vissuti dal giovane Santo
Scopri di più
MONDONIO
Casa di Domenico Savio A circa 2 chilometri da Castelnuovo, sulla strada per Gallareto Montechiaro (4 chilometri da Morialdo, per chi segue la strada sulla collina), si incontra Mondonio, paese in cui il 9 marzo 1857 muore Domenico Savio. Carlo Savio (1815-1891) e Brigida Gajato (1820-1871), sposati. si il 1 marzo 1840, si erano qui trasferiti con i figli, nel febbraio 1853, andando ad abitare la prima casa che si incontra, a sinistra, salendo lungo la strada principale del paese. La casa, affittata dai fratelli Bertello, fu abitata dai Savio fino all’anno 1879. I Salesiani la acquistarono nel 1917, pagandola 2000 lire. Al pian terreno, da destra a sinistra, si incontra la cucina (nella parete si intravede il luogo del focolare) che comunica con la stanza nel Don Bosco ci descrive la morte di Domenico con queste parole: Dopo aver recitato con lui alcune preghiere, il parroco era per uscire, quando Savio lo chiamò dicendo: Signor prevosto prima di partire mi lasci qualche ricordo. – Per me, rispose, non saprei più che ricordo lasciarti. – Qualche ricordo, che mi conforti. – Non saprei dirti altro se non che ti ricordi della passione del Signore. – Deo gratias, rispose, la passione di nostro Signor Gesù Cristo sia sempre nella mia mente, nella mia bocca, nel mio cuore. Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi in questa ultima agonia: Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l’anima mia. Dopo tali parole si addormentò e prese mezz’ora di riposo. Indi svegliatosi volse uno sguardo a’ suoi parenti: papà, disse, ci siamo. -Eccomi, figliuol mio, che ti abbisogna?la quale il 9 marzo 1857 mori Domenico.- Mio caro papà, è tempo; prendete il mio Giovane provveduto (ndr: si tratta di un manuale di preghiere scritto da don Bosco per i suoi ragazzi) e leggetemi le preghiere della buona morte. A queste parole la madre ruppe in pianto e si allontano dalla camera dell’infermo. Al padre pure scoppiava il cuore di dolore, e le lagrime gli soffocavano le parole; tuttavia si fece coraggio e si mise a leggere quella preghiera. Egli ripeteva attentamente e distintamente ogni parola; ma infine di ciascuna parte voleva dire da solo: Misericordioso Gesù, abbiate pietà di me. Giunto alle parole: Quando finalmente l’anima mia comparirà davanti a voi, e vedrà per la prima volta lo splendore immortale della vostra maestà: non la rigettate dal vostro cospetto; ma degnatevi di ricevermi nel seno amoroso della vostra misericordia, affinché io canti eternamente le vostre lodi. Ebbene, soggiunse, questo è appunto quello che io desidero. Oh caro papà, cantare eterna mente le lodi del Signore! Poscia parve prendere di nuovo un po’ di sonno a guisa di chi riflette profondamente a cosa di gran de importanza. Di lì a poco si risveglio e con voce chiara e ride te: Addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro, ed io non posso più ricordarmi… Oh! che bella cosa io vedo mai… Così dicendo e ridendo con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto in forma di croce senza fare il minimo movimento (DS 117-119).Dalla stanza in cui morì Domenico (che serviva probabilmente da dispensa e laboratorio di sartoria per mamma Brigida), una scala in legno conduceva al piano superiore. Ora non esiste più, ma se ne può indovinare la posizione nella luce di una porta che era collocata sulla parete a settentrione e immetteva in un altro vano, al tempo utilizzato come ripostiglio e cantina. Oggi si sale al piano superiore attraverso una scala, di costruzione più recente, che fa parte della casa vicina. Anche il ballatoio esterno non esisteva.Al piano superiore, sopra la cucina era collocata la camera dei genitori e, accanto, quella dei figli. Il locale che si trova sopra il vano cantina, e al quale si accede anche dalla strada sul retro della casa, veniva utilizzato da papà Carlo come officina per la sua attività di fabbro..I coniugi Savio ebbero dieci figli. Sel morirono bambini o giovanissimi: Domenico Giuseppe Carlo (3-18 novembre 1840), san Domenico Giuseppe (1842-1857), Carlo (15-16 febbraio 1844), M. Teresa Ade laide (1847-1859), Giuseppe Guglielmo (1853-1865), Maria Luigia (1863-1864).Papà Carlo, morta la moglie Brigida Gajato (1871), dopo aver accasato le tre figlie Maria Caterina Raimonda (1845-1912), Maria Caterina Elisabetta (1856-1915?) e Maria Firmina Teresa (1859-1933) nel 1878, lasciato il figlio Giovanni Pietro (1850-1894), si trasferi.co don Bosco a Valdocco, dove morirà il 16 dicembre 1891 all’eta di 76 Di fronte alla casetta si trova il primo monumento dedicato a Domenico Savio. Fu inaugurato nel 1920 dal card. Giovanni Cagliero, che era stato assistente e maestro di musica di Domenico all’Oratorio
Valdocco
Chiesa parrocchiale e scuola inerpicandosi lungo la strada che costeggia la casa di Domenico Savio si arriva alla chiesa parrocchiale, dedicata a san Giacomo.Domenico, fino alla sua partenza per Valdocco e poi durante i bregiorni di vacanza, partecipa ogni orno alla Messa. Preferisce prega re davanti ad una statua della Madonna del Rosario, collocata in una nicchia in fondo alla chiesa, a destra di chi entra. Oggi quella statua non c’è più: nel 1863 è stata trasferita nella chiesetta di Santa Maria di Ra setto, località vicina a Castelnuovo, ove abitava il nonno di Domenico. La festa patronale del paese si celebrava il giorno della Madonna del Rosario, la prima domenica di ottobre, come ai Becchi aveva iniziato a fare don Bosco dal 1848. È proprio il lunedì 2 ottobre 1854, il giorno successivo alla festa, che papà Carlo e Domenico -per interessamento di don Cugliero, maestro di scuola nel paese – si recarono ai Becchi per incontrare don Bosco.Il parroco di Mondonio don Domenico Grassi (1804-1860) assiste il Savio durante l’ultima malattia, lo confessa, gli porta il santo Viati co e il mattino 9 marzo 1857 gli amministra il sacramento degli infermi e la benedizione papale. Quella stessa sera, verso le venti e trenta, vi sita Domenico per l’ultima volta e, dopo aver recitato con lui alcune preghiere, richiesto di un pensiero come ricordo, raccomanda al morente di pensare alla passione del Signore.Poco oltre la facciata della chiesa, una stradicciola che sale a sinistra conduce davanti ad un edificio, che dall’Ottocento fino a tempi re lativamente recenti è stato utilizzato per la scuola elementare del paese. Domenico Savio la frequenta dal febbraio 1853 al giugno 1854 sotto la guida del maestro don Giuseppe Cugliero. Qui avviene il fatto ricordato nella biografia scritta da don Bosco. Accusato ingiustamente di una grave mancanza disciplinare, subisce in silenzio i rimproveri e il castigo del maestro, per evitare l’espulsione dei veri colpevoli. Sulla porta della scuoletta una lapide, collocata nel 1952, ricorda il fatto (però, la data di frequenza alla scuola indicata sulla lapide è errata: non 1852, ma 1853).
Cappella cimiteriale
Poco al di sotto della casa dei Savio, presso la strada provinciale, esiste ancora la cappella dell’antico cimitero di Mondonio nel quale furono sepolti Domenico, i suoi fratellini e la mamma. Nel cimitero (che è stato smantellato nel 1942) i resti di Domenico rimasero sino al 1914, quando, all’aprirsi del processo apostolico per la causa di beatificazione, furono trasferiti a Torino in Maria Ausiliatrice.Domenico era stato interrato in una semplice fossa. Due anni do po, un pio signore di Genova, che ne aveva letta la biografia scritta da don Bosco (1859), ammirato per le sue virtù, fece collocare su quel la tomba una piccola lastra di marmo con questa iscrizione: «Domenico Savio modello di virtù – ai giovanetti – morto – il nove marzo MDCCCLVII- in età d’anni quindici». Nel 1866 la salma, riesumata dalla fossa in piena terra, fu composta in una cassa nuova e deposta in un loculo entro il muro posteriore della cappella, all’altezza della base dell’altare. La lapide del signore genovese venne fissata sulla stessa parete esterna. Oggi la piccola lastra è stata collocata nel giardinetto dietro la cappella, sul luogo della primitiva sepoltura. Nel 1907, cinquantesimo anniversario della morte, le spoglie del giovane furono ricomposte in un sarcofago in marmo bianco ancora visibile nella cappella. L’iscrizione latina, dettata dal salesiano don Giovanni Battista Francesia (1838-1930), suo antico maestro, suona così: Hic – in pace Christi quiescit – Dominicus Savio – Joannis Bosco sac. – alumnus piissimus – anno MCMVII – ad ejus excessu L», cioè: «Qui nella pace di Cristo riposa Domenico Savio, piissimo alunno del sac. Giovanni Bosco. 1907, cinquantesimo della sua morte». Al di sotto è riportato un versetto tratto dal Siracide (51,35): «Modicum la boravi et inveni mihi multam requiem (Faticai per un poco ed ho trovato molta pace).
La traslazione della salma a Torino nel 1914 fu avventurosa. Quando il 19 ottobre autorità religiose e civili si presentarono a Mondonia per il trasporto, trovarono tutti gli abitanti del paese schierati attorno alla cappella per impedirlo, in atteggiamento minaccioso: non volevano perdere il loro piccolo protettore. Per il momento si procedette alla ricognizione, rinunciando al trasporto. Di recuperare la salma fu incaricato allora don Cesare Albisetti, futuro grande missionario, che era al la vigilia della sua partenza per il Brasile. Egli, dalla casa salesiana d Castelnuovo, arrivò a piedi a Mondonio (27 ottobre); trovata la cappella aperta, asportò l’urna che nel primo tentativo era già stata estratta dal sarcofago, e la trasferì a Torino con l’aiuto di precedentemente avvisato. Gli abitanti di Mondonio si accorsero subito del fatto, ma non giunsero in tempo per impedirlo.
Buttigliera d’Asti
Giovanni Bosco ricevette la cresima e, in occasione delle ‘missioni’, incontrò Don Calosso. Qui vi si trasferì la Beata Maddalena Morano e da qui entrò nelle Figlie di Maria Ausiliatrice. Una mostra interessante allestita nella Chiesa di San Michele testimonia questa straordinaria donna di Dio, santa educatrice.
Scopri di più
BUTTIGLIERA D’ASTI
Centro agricolo collocato ai margini della fertile piana chierese a 299 metri sul livello del mare, contava nella prima metà dell’Ottocento 1600 abitanti circa (oggi quasi 2000). Si trova sulla strada che col lega Riva di Chieri a Castelnuovo, a 4 chilometri dai Becchi.
La chiesa parrocchiale
La chiesa parrocchiale di san Biagio, che conserva nei muri laterali esterni vestigia della precedente costruzione in stile gotico, risale, nella attuale strutturazione barocca progettata dal Guarini, al 1686. Fu allungata dalla parte del coro della sacrestia nel 1785 su disegno del chierese Mario Ludovico Quarini, del quale è anche lo splendido campanile, terminato nel 1790. La facciata e la decorazione della vol ta sono recenti (1960-1964)..
Il Giubileo del 1829 e l’incontro tra Giovannino Bosco e don Calosso
Nel 1829, tra il 5 e il 9 novembre, a Buttigliera si predica un triduo per l’acquisto delle indulgenze legate al Giubileo straordinario indetto da Pio VIII. Vi partecipa anche la gente dei paesi vicini e, tra gli altri, don Calosso, nuovo cappellano di Morialdo, e Giovanni Bosco, appena tornato a casa dalla cascina Moglia, Sulla strada del ritorno il sacerdote ha modo di verificare le doti del ragazzo e gli offre il suo aiuto. Un incontro tra saggezza ed esperienza spirituale dell’anziano e fresca recettività dell’adolescente, che si rivelerà provvidenziale e fecondo.
La Cresima di Giovanni Bosco
La chiesa parrocchiale vede anche un’altra tappa fondamentale del la vita cristiana di Giovanni. Egli, all’età di diciotto anni, vi riceve il sacramento della Confermazione (domenica 4 agosto 1833), insieme a ben 1335 altri cresimandi, per mano di mons. Giovanni Antonio Gia notti (1784-1863), arcivescovo di Sassari, poi di Saluzzo. Padrini di tutti i cresimandi sono il sindaco Giuseppe Marzano e la nobildonna Giuseppina Melyna contessa del Capriglio. Il rito è descritto in un’ampia cronaca del parroco dell’epoca, il teologo Giuseppe Vaccarino (1805-1891), che resse la parrocchia di Buttigliera per 59 anni (1832-1891)
I legami di Buttigliera con don Bosco e la Famiglia Salesiana
A Buttigliera e ai suoi abitanti don Bosco rimane affezionato, per amicizia con il parroco teologo Vaccarino e con la madrina contessa Melyna, che diverrà sua benefattrice. Quando a piedi percorre la strada tra Torino e i Becchi egli fa loro visita. Al ritorno dalle passeggiate autunnali, ogni anno, la contessa e il parroco ospitano i giovani di Valdocco ed offrono loro un rinfresco. Don Bosco era amico di don Giuseppe Vaccarino, perché prete molto zelante e vicino al popolo: non soltanto aveva introdotto nel paese l’industria casalinga dei telai e fondato un piccolo ospedale, ma anche un oratorio, ispirato a quello di Valdocco, e l’asilo infantile. Buttigliera ci ricorda anche una delle prime Figlie di Maria Ausiliatrice, la beata Maddalena Morano (Chieri 1847 – Catania 1908). La sua famiglia si era qui trasferita quando Maddalena aveva due anni. Rimasta orfana di padre nel 1855, lavorando e studiando si diplomò maestra. Il parroco teologo Vaccarino, aperto un asilo infantile, l’aveva as sunta come educatrice già all’età di quattordici anni. Dopo il diploma fu incaricata delle scuole femminili di Montaldo Torinese fin quando, per consiglio del padre gesuita Francesco Pellico, fratello di Silvio, entrò tra le suore di don Bosco. In Sicilia, prima come direttrice e poi, dal 1886, come ispettrice, fondò numerose opere per la gioventù femminile.
La cascina Càmpora
A circa 2 chilometri dal centro, sul dorso della collina, è situata la cascina Campora, che fa parte della frazione Serra. Mamma Margherita conosce il proprietario, un certo Turco di Castelnuovo. Nell’autunno 1827, periodo di gravi ristrettezze economiche aggravate dalla tensione col fratello Antonio, Giovanni è inviato dalla madre alla cascina come garzone. Vi rimane solo poche settimane perché, data la stagione, lavoro e pane scarseggiano anche per i proprietari.
Frazione Crivelle
A poca distanza da Buttigliera si trova la frazione Crivelle, indicata da don Bosco come Croveglia. Qui abitava uno zio materno di Giovanni. Un anno, nel corso delle vacanze estive, il chierico Bosco fu invitato ad una festa.
Moncucco e Cascina Moglia
Qui Giovanni, tra i 12 e i 14 anni, trascorse 20 mesi lavorando come garzone di campagna per la famiglia Moglia. Alla Domenica, presso la chiesa parrocchiale di Moncucco, aiutava il parroco come catechista degli altri ragazzi.
Scopri di più
MONCUCCO E FRAZIONE MOGLIA
Lungo la strada che de Castelnuovo porta a Chieri, poco dopo Moriondo, si incontra a destra la deviazione per Moncucco e Cinzano. Un chilometro circa prima del paese, si svolta a sinistra per la frazione Moglia, che prende il nome dalla famiglia che vi abitava.
La cascina Moglia
Nel febbraio 1828, in uno dei periodi più critici per i gravi problemi economici e le tensioni con il fratello Antonio (che essendo il maggiore si sente responsabile della gestione familiare), mamma Margherita ritiene opportuno allontanare momentaneamente Giovannino da casa. Fallito il tentativo di collocare il figlio alla cascina Càmpora di Buttigliera, lo invia nuovamente in cerca di un impiego verso Mondonio e Moncucco. Forse i Moglia, suoi conoscenti, che coltivano fertili terreni e abitano in una borgata ben esposta, ai confini tra Moncucco e Mombello, lo accoglieranno. Luigi, il capo famiglia, ha sposato Dorotea Filippello di Castelnuovo e ha già due figli: Caterina, di cinque anni e Giorgio di tre. Con lui abitano gli zii Giovanni e Giuseppe e le sorelle Anna e Teresa, rispettivamente di diciotto e quindici anni.
Quando verso sera il ragazzo, che in quella giornata invano ha già bussato a più cascine, si presenta a Luigi Moglia, questi gli risponde che nei mesi invernali il lavoro scarseggia anche per i suoi familiari e vuole rimandarlo. Sono i buoni uffici della moglie Dorotea e le insistenze della sorella Teresa, che preferisce lasciare la cura del bestiame, a convincere il padrone di accettarlo in prova. Giovannino si conquista subito la stima di tutti. Dopo pochi giorni Dorotea gli affida la guida del Rosario e delle preghiere della sera (che si recitavano di fronte ad un’immagine di Maria SS., conservata oggi ai Becchi nella casa del fratello Giuseppe. La settimana successiva Luigi contatta mamma Margherita per stabilire il salario, fissato in quindici lire annuali più il mantenimento. Quando un paio d’anni dopo (primi di novembre 1829) Giovanni tornerà a casa, sarà rimpianto come uno della famiglia. D’autunno, alla Moglia viene anche lo zio don Nicola, maestro comunale. Nei momenti liberi fa a Giovanni un po’ di ripetizione per completare le conoscenze da lui acquisite alla scuola di Capriglio. Tre anni dopo lo ritroverà allievo alle scuole di Castelnuovo, ma avrà un atteggiamento poco incoraggiante nei suoi confronti.
Giorgio, il figlio del padrone, gli si affeziona e lo segue ovunque. Don Bosco negli anni conserverà questa amicizia; lo inviterà più volte a pranzo all’Oratorio e, in autunno, gli porterà l suoi birichini a rallegrarlo. Sarà proprio lui – morto a Torino nel 1923 quasi centenario – a riferire tanti particolari di quel periodo e dell’amicizia dei Moglia per don Bosco.
Maria, figlia di Giorgio, andrà in sposa ad Ottavio Casalegno. Carlo, loro figlio, è padre di Giovanni Casalegno, l’ultimo proprietario del la cascina.
La cascina ha conservato l’antica stalla, il fienile e la vigna dietro casa, dove Giovannino versò i suoi sudori. La grande cucina di un tempo è oggi dimezzata, ma la stanza in cui egli dormiva con il piccolo Giorgio è rimasta intatta. Nel cortile c’è un gelso centenario: è forse lo stesso all’ombra del quale il giovane garzone raccoglieva i fanciulli del la borgata per il catechismo e i suoi fantastici racconti. Anche il pozzo e la cantina sono gli stessi.
Nei primi giorni del novembre 1829 passa dalla Moglia lo zio Mi chele Occhiena. Vede il nipote e, constatato il persistere del suo vivo desiderio di studiare, lo incoraggia a tornare ai Becchi assumendosi l’impegno di dirimere le tensioni con Antonio e di aiutarlo. Giovanni lascia così la casa dei Moglia. Sarà proprio questo provvidenziale invito dello zio a permettere l’incontro, di lì a pochissimi giorni, con don Calosso sulla strada di Buttigliera.
La chiesa di Moncucco
A mezz’ora buona di cammino dalla frazione Moglia, per sentieri campestri, si giunge a Moncucco.
Ogni sabato sera Giovannino chiede ai padroni il permesso di recarsi alla chiesa parrocchiale, dedicata a san Giovanni Battista, sul far del mattino, per la prima Messa. Essi non comprendono il motivo di questo anticipo, visto che poi egli partecipa anche alla «Messa grande»> e a tutte le funzioni del pomeriggio. Perciò una domenica la signora Dorotea lo precede e si apposta in casa di un’amica. Lo vede entrare nella chiesa e lo segue: Giovanni si accosta al confessionale del parroco, teologo Francesco Cottino (1768-1840), e poi riceve la santa Comunione, che al tempo si distribuiva anche prima della Messa. Da quel giorno gli viene concessa piena libertà di movimento.
Vedendo il suo impegno e la sua capacità di attirare ed animare i ragazzi, don Cottino lo incoraggia. Gli ottiene anche la sala della scuola comunale per i giorni freddi e piovosi: nasce così un primo abbozzo di oratorio festivo.