La mia fata madrina
Il nocciolo della storia
Esistono tanti bambini (e tanti adulti) come Alice sempre scontenti, brontoloni e quindi infelici. Ne conoscete certamente qualcuno e sapete quanto sono fastidiosi, anche se loro non se ne accorgono.
Per questo tipo di persone ci vuole una fata-madrina. Come Rosa, che si fermava spesso accanto ad Alice e si faceva raccontare le preoccupazioni, le paure, gli affanni e i crucci piccoli e grossi. E li prendeva tutti molto sul serio!
Alice aveva le lentiggini e il nasino impertinente. Ma soprattutto, Alice non parlava. Non era muta, poverina, tutt’altro. Alice urlava, piangeva, strillava, protestava, sbraitava, pestava i piedi…
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Alice aveva le lentiggini e il nasino impertinente. Ma soprattutto, Alice non parlava. Non era muta, poverina, tutt’altro. Alice urlava, piangeva, strillava, protestava, sbraitava, pestava i piedi.
Anche per la strada, nel supermercato, sul bus. Qualcuno si voltava verso la mamma e diceva: «Ma la torturate, questa povera bambina?!»
Mai una parola calma, un momento tranquillo. Alice non era mai contenta.
A tavola solo scenate. «Non voglio la minestra! Voglio la pasta! Non mi piacciono i pomodori! Sempre budiiiino!» Non c’era mai niente che le andasse bene.
Per non parlare dei vestiti.
«Non voglio la gonna!» La mamma porta un paio di jeans. Alice strilla: «Non voglio i jeans!»
Il suo papà se n’era andato di casa l’anno prima e il cuore di Alice si era spezzato in mille pezzettini. E ogni pezzettino pungeva.
«Col tempo le passerà» diceva la mamma. Ma non passava.
A scuola, Alice si era fatta la fama di piantagrane. Finiva dalla direttrice un giorno sì e uno no, aveva un banco tutto per sé al fondo della classe e nessuno voleva giocare con lei.
Finché non fu inserita nella classe della maestra Rosa.
Alice aveva sentito parlare della maestra “speciale” Rosa. Una volta nel corridoio, due bambini avevano sussurrato: «Dicono che è un po’ fata… Che sa curare i grossi bubù … e togliere le spine dal cuore».
Quando vide la maestra Rosa, Alice si aspettava una fatina, con il vestito azzurro e le alucce che vibravano, come nei film. Invece Rosa era una signora molto normale con i pantaloni neri, un golfino scuro e gli occhi grigi dolci dolci.
Per una volta, Alice non urlò, ma martellò la sedia con tanti calci. Era sempre un modo per dire “no”.
«Conosci le storie delle principesse?» chiese Rosa.
«…»
«E delle fate-madrina?»
Alice si ricordava solo che nelle fiabe, la fata-madrina combina sempre qualche guaio.
«Io le conosco bene» continuò la maestra Rosa. «Tanto tanto tempo fa, la bisnonna della bisnonna della bisnonna della mia bisnonna era una fata-madrina…»
Alice la guardò con diffidenza e un po’ di curiosità.
«Quando nasce una principessa, c’è sempre una fata-madrina che si china sulla culla e si impegna a proteggere la bambina per tutta la vita. E anche ad aiutarla per scampare dai pericoli e affrontare le difficoltà».
La classe della maestra Rosa era un po’ speciale. Si poteva disegnare, modellare la pasta di sale e scrivere su un foglio i bubù che si sentivano dentro e poi portarli a Rosa che li leggeva con molta attenzione. Rosa si fermava spesso accanto ad Alice e si faceva raccontare le preoccupazioni, le paure, gli affanni e i crucci piccoli e grossi. E li prendeva tutti molto sul serio!
Così Alice non urlava più. Perché la maestra Rosa le toglieva tutte le spine che la pungevano “dentro”.
«Ecco perché si chiama Rosa» pensò Alice.
Dopo un paio di mesi, la mamma era sorpresa per la bambina nuova che si ritrovava accanto. Una bambina che diceva perfino “sì”, “grazie” e “Ti voglio bene”. Le prime volte si doveva dare dei pizzicotti per assicurarsi di non sognare.
Anche la nonna, stupita dal cambiamento della nipotina, chiese: «Alice, ma che cosa ti è successo?»
«Ho trovato la mia fata-madrina. Sai quelle fate speciali che trasformano i rospi in principesse».
Il gioco
il gioco del grazie
Per i più grandi
Valgustoor (Estonia)
Si tracciano a terra due righe, a otto-dieci passi una dall’altra. Dietro alla prima riga si schierano tutti i giocatori (gli automobilisti) meno uno (il vigile urbano), che si ferma invece dietro l’altra riga. Il conduttore grida il nome di un colore e tutti gli automobilisti si spostano verso la riga opposta. Chi indossa un capo di vestiario contenente quel colore può raggiungere la riga indisturbato, mentre chi non ha niente addosso con quel colore deve sfuggire al vigile urbano, che cercherà di toccarlo. Chi viene toccato giustamente riceve una penalità, che va invece al vigile ogni volta che tocca un giocatore che non dovrebbe (perché indossa qualcosa del colore richiesto…). Naturalmente, i giocatori possono cercare di trarre in inganno il vigile, correndo anche se indossano il colore richiesto o passeggiando (a loro rischio e pericolo…) anche se non lo indossano. Il colore richiesto deve essere visibile. In caso di contestazioni, il giocatore contestato si sposta di fronte al conduttore e appoggia le mani sui fianchi: se il conduttore riesce a vedere il colore richiesto, ha ragione lui, mentre in caso contrario ha ragione il suo inseguitore. Ogni tre giri si cambia il vigile urbano. Quando tutti i giocatori sono stati nei panni del vigile, il gioco termina. Vince chi conclude il gioco con il minor numero di penalità.
Per i più piccoli
Tra questi due disegni ci sono dieci differenze.
La preghiera del giorno
Insegnami, Dio Padre, ad amare la vita
come tu ami la vita.
Tu ami la vita, Dio Padre Nostro,
e ami che noi, i vivi, cantiamo la vita che ci hai dato.
La vita è la tua gloria, Dio.
La vita che hai sempre avuto, con Gesù e con lo Spirito Santo.
La vita che ci hai dato.
La tua vita con la nostra vita è la tua gloria:
“Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo…»