Il paradiso degli animali
Il nocciolo della storia
II paradiso degli animali è una parabola tradizionale antica, che testimonia, in modo ingenuo e ricco di fantasia, il legame tra Dio e il mondo e la parentela tra l’uomo e le sue con-creature. Il mondo uscito dalle mani di Dio è «buono». Ed è stato affidato alle cure dell’uomo: Dio gli ha affidato l’incarico di proteggerlo con il suo lavoro, di modellarlo e trasformarlo, rendendolo abitabile e fruttifero. Gli animali sono i suoi umili compagni di viaggio.
Vi siete certamente accorti che nella nostra chiesa, in una delle cappelle laterali, c’è un dipinto che raffigura un santo con il bastone che ha accanto un bel cane, vispo e allegro.
Quel santo si chiamava Rocco. San Rocco percorreva le strade del mondo e guariva la gente e le bestie dalla rabbia…
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Vi siete certamente accorti che nella nostra chiesa, in una delle cappelle laterali, c’è un dipinto che raffigura un santo con il bastone che ha accanto un bel cane, vispo e allegro.
Quel santo si chiamava Rocco. San Rocco percorreva le strade del mondo e guariva la gente e le bestie dalla rabbia. Sì portava sempre dietro un cane che si chiamava Rocchetto, e gli voleva molto bene perché una volta quell’animale gli aveva salvato la vita. Il cane era santo anche lui, a modo suo. Leccava le piaghe che il suo padrone curava, e le piaghe sparivano, non ritornavano più. San Rocco e Rocchetto non si lasciavano mai: è per questo che dovunque c’è un quadro di san Rocco, il pittore ha dipinto anche Rocchetto. Non si poteva capire l’uno senza l’altro.
Un giorno san Rocco morì, perché muoiono tutti, anche i santi. E quando fu morto, il cane si mise a ululare e poi morì anche lui. Il cane aveva una piccola anima leggera, tanto che arrivò alla porta del paradiso nello stesso momento di san Rocco. San Rocco bussò con il bastone da pellegrino e disse il suo nome, con sicurezza. Aveva sanato tanti infelici, che era sicurissimo d’entrare in paradiso. San Pietro, gran portinaio del paradiso, si affrettò ad aprire il portale, ma spalancò subito gli occhi dietro le lenti degli occhiali. Dietro il santo trotterellava il cane.
«Alto là! Non c’è posto per i cani in paradiso!».
«Bisognerà pur trovargli un posto, a questo cane», rispose san Rocco. «Siamo inseparabili. Mi ha salvato la vita ed è santo anche lui, a modo suo».
«Via, via! non facciamo storie! Anch’io avevo un gallo che mi ha salvato l’anima, facendomi pentire. Non me lo sono mica portato dietro, quando sono venuto quassù! Il gallo è restato fuori e
io sono entrato. Il tuo cane andrà a raggiungere 11 mio gallo e tu, tu andrai a raggiungere i santi che ti aspettano! Andiamo! Ho ordini precisi, te l’ho detto».
«Tanto peggio», disse san Rocco ostinato, «se Rocchetto non entra anche lui, io non entro».
«E allora», urlò san Pietro indispettito, «vattene tu e il tuo cane!».
E sbatté la porta.
Che cosa successe di Rocco e Rocchetto? Non lo so. Credo però che abbiano ripreso i loro viaggi e che le loro anime abbiano continuato a fare miracoli e a guarire la gente dalla rabbia.
Cominciarono a parlare di loro in tutto il mondo. Il Papà, che era giusto, li volle ricompensare. Di Rocco fece un autentico santo, con regolare cerimonia e ordinò che nelle chiese esponessero un quadro dove il nuovo santo era raffigurato col cane. Era, infondo, un modo di canonizzare anche Rocchetto, senza dirlo.
Quando la notizia giunse in paradiso, il Padre Eterno fece chiamare san Giovanni Battista, che è stato il primo di tutti i santi, e gli disse:
«Dunque, c’è un brav’uomo chiamato Rocco. Il Papà l’ha fatto santo, bisogna che lo cerchiate e lo portiate qui. Voglio vederlo e complimentarmi con lui. Devi dire a santa Cecilia di fare un po’
di musica».
Giovanni Battista corse per tre giorni e tre notti, ma fu come cercare le rondini d’inverno. Imbarazzato, pensò di andare a consigliarsi con san Pietro.
Il buon portinaio non aveva dimenticato la storia dell’uomo col cane. Quando sentì dire che quell’uomo era santo sul serio e che il Padre Eterno lo voleva vedere, si turbò un poco. Aveva timore d’essere punito per aver agito di sua iniziativa. San Giovanni, che gli voleva bene, lo consolò e gli promise di mettere a posto ogni cosa. Tornò dal Padre Eterno e disse: «Signore, quel santo che vuoi non è qui. Si presentò trent’anni fa, ma aveva un cane e siccome san Pietro non ha voluto lasciar entrare il cane, san Rocco se n’è andato e non si sa dove sia».
Il Padre Eterno sorrise e disse:
«Va bene. San Pietro ha fatto il suo dovere, come sempre. Ma san Rocco tornerà, perché lo voglio. Terrà il suo cane. Lascerete entrare l’uomo e il cane. Faccio un’eccezione».
Quando glielo riferirono, san Pietro si arrabbiò. Un’eccezione!
«Sì», disse, «lasciamo pure entrare il cane dì Rocco! Vedrete, poi: tutti gli animali del creato lo seguiranno! Il paradiso tra poco non sarà più abitabile».
Stizzoso aprì la porticina di servizio, non il portone grande. Poi, per non vedere il cane, si rifugiò in portineria e chiese a Zaccheo, il suo aiutante, di sbrigare il servizio. Zaccheo, che voleva bene alle bestie perché era piccolo, si fece sulla soglia della porta e gridò con tutto il fiato: «Rocco, Rocchetto! Il buon Dio vi vuoi vedere!».
Ed ecco Rocco e Rocchetto che comparvero. Il santo aveva un sorriso d’orgoglio, il cane inalberava la coda come un pennacchio. Tutto il paradiso era là, angeli, cherubini, arcangeli, santi e sante, tutti si accalcavano per vedere passare il bel cane che annusava soddisfatto i buoni odori del paradiso.
Fu una festa deliziosa. Il cane fu festeggiato e accarezzato da tutti. Ma, passato il primo momento di gioia, vi fu un movimento tra la folla e san Pietro, sguardo severo, capelli arruffati, venne avanti con le chiavi in mano.
«Signore» — disse rivolto al Padre Eterno — «Signore, dò le dimissioni. Io non faccio il portinaio dei cani».
Il Padre Eterno sorrise senza rispondere. San Pietro aggiunse: «Signore, e poi, non è giusto. Perché il cane di san Rocco dovrà starsene qui solo soletto? Dal momento che la porta è aperta, io dico che anche le altre bestie devono entrare».
Il Padre Eterno sorrideva sempre. San Pietro continuò: «Signore, se vuoi che tenga io le chiavi, devi far entrare il mio gallo: sta su tutti i campanili e chiama i peccatori a far penitenza. È anche quello un modo d’esser santi!».
«Facciamo entrare il gallo», disse allora il buon Dio senso smettere dì sorridere. «Sarà un ‘altra eccezione!».
A questo punto ci fu un po’ di subbuglio. Tutti i santi che avevano voluto bene a qualche animale si misero a protestare e a perorare la loro causa.
«E la mia colomba?», diceva Noè. «La mia colomba che m’ha portato il ramoscello d’ulivo?».
«E il corvo che mi ha nutrito nel deserto?», replicò Elia.
«E il mio cane che mi ha accompagnato?», gemeva Tobia.
«E l’asina che ha profetizzato per me?», diceva Balaam.
«E la balena che mi ha ospitato tre giorni nella sua pancia?», diceva Giona.
«E il porcello che mi faceva compagnia?», diceva sant’Antonio.
«E il cervo», diceva sant’Uberto, «che portava la croce sulla testa?».
«E il fratello lupo e i fratelli uccelli e i fratelli pesci?», diceva san Francesco.
«E la mula che s’è inginocchiata davanti all’ostia?», diceva sant’Antonio da Padova.
Una bella confusione! Ma il Padre Eterno, che non aveva mai smesso di sorridere, impose il silenzio con un cenno e disse: «Questo cane che è accucciato ai miei piedi fa salire fino al mio cuore, come una preghiera, il calore della sua bontà. Pace agli animali. Gli animali che i santi hanno amato, hanno qualcosa più degli altri. Fateli entrare. Ciascuno di voi faccia entrare l’animale che è stato suo amico».
Si vide allora una strana processione. Bestie a quattro e a due zampe, bestie col pelo e bestie da penna, uccelli e pesci, avanzavano lentamente verso il trono di Dio. E c’era una grande bontà in tutti quegli animali, che rendeva più luminoso lo splendore del paradiso.
Un santo giovane, che aveva molto spirito, disse ridendo: «Sembra l’arca di Noè!».
E sant’Agostino ribatté: «Esattamente! L’Arca di Noè era l’immagine del paradiso!».
Gesù abbassò allora lo sguardo che tutto vede su quella moltitudine raccolta che l’adorava in silenzio e disse:
«Non sono tutti, però. Mancano l’asino e il bue che m’hanno scaldato con il loro fiato quand’ero piccolo».
E l’asino e il bue vennero quasi subito. Perché erano già dietro la porta ad aspettare il loro turno. E Gesù li carezzò sorridendo.
Il gioco
il gioco del grazie
Per i grandi e piccoli
La mela gigante
Giocatori – Due o più squadre di sei giocatori ciascuna e un conduttore.
Occorrente – Un po’ di gesso in polvere o qualcos’altro per tracciare righe sul terreno di gioco.
Preparazione – Si disegnano a terra sei cerchi concentrici, il primo del diametro di un paio di metri e ognuno degli altri di circa un metro di diametro in più del precedente. I giocatori della prima squadra si schierano in fila indiana a un paio di passi di distanza dal più grosso di questi cerchi e il gioco può avere inizio.
Regole – Al «Via!» dato dal conduttore, il primo giocatore parte di corsa, passa da un cerchio all’altro senza saltarne nessuno e senza pestare le righe, torna indietro nello stesso modo, da il cambio al secondo e così via. Quando torna il sesto giocatore, i primi due si prendono per mano e ripartono. Al loro arrivo partono, sempre tenendosi per mano, il terzo e il quarto giocatore e infine il quinto e il sesto. Quando torna la terza e ultima coppia di giocatori, ripartono i primi tre (sempre tenendosi per mano) e poi gli ultimi tre. Al loro arrivo, infine, tutti e sei i giocatori della squadra partono insieme (sempre per mano…) per l’ultimo giro. Il conduttore cronometra il tempo impiegato dalla squadra e ci aggiunge cinque secondi per ogni volta che un giocatore ha pestato una delle righe tracciate a terra, dopo di che entra in gioco la seconda squadra, poi la terza e così via.
Vince – La squadra che realizza il minor tempo totale (tempo effettivo ottenuto più penalità).
La preghiera del giorno
Caro Gesù, ho trovato una poesia
scritta dagli indiani…
Mi è piaciuta e te
la voglio dire:
«Quando l’ultimo albero
sarà abbattuto,
l’ultimo fiume avvelenato,
l’ultimo pesce catturato,
soltanto allora ci accorgeremo
che i soldi non si possono mangiare».
Gesù, donaci un mondo giusto,
dove tutti possano vivere felici.
lo cerco la giustizia, ti prego;
dona pace ad ogni uomo.