Il Re Salomone e l’ape
Il nocciolo della storia
La storia è la classica spiegazione di un proverbio: mai disprezzare i piccoli.
C’era una volta un vecchio contadino, che aveva un gatto e un gallo. Il vecchio andava nel campo a lavorare, il gatto gli portava da mangiare e il gallo stava a casa a sorvegliare.
Passò un giorno la volpe, e si mise a cantare sotto la finestra…
Leggi qui tutta la storia
Un giorno il Re Salomone era sdraiato sotto un fico, nel suo giardino, e sonnecchiava. Passò di là una piccola ape errante che si posò sul naso del Re e lo punse. Salomone si destò e balzò su. Capì cos’era successo e s’incollerì, perché il dolore che sentiva era acuto e il naso gli stava diventando rosso e rigonfio.
Pieno di collera, il Re ordinò di chiamare a raduno tutte le api e tutte le vespe e tutti i calabroni e tutte le zanzare e tutte le moschee tutti i tafani e tutti i moscerini che c’erano nel suo giardino e in tutti i giardini dei dintorni vicini e anche lontani.
Tutte le api e tutte le vespe e tutte le zanzare e tutti gli altri esseri ronzanti di tutte le specie accorsero da tutti i nidi e da tutti gli alveari, e sciamarono colà da vicino e da lontano, e si calarono sul Re in stormi e schiere, a miriadi e miriadi, fitti come le stelle del cielo, ogni sciame con in testa la sua Regina, ogni schiera col suo Condottiero, tutti affannati e tutti ronzanti in gran brusio, tutti tesi ed ansiosi di sapere cos’era mai successo, cozzzzzz’era, cozzzzzzz’era, cozzzzzzzzzzzzzzz’era successo?
E l’irato Re batté un piede e gridò: «Silenzio!»
D’un colpo calò su tutte le schiere un silenzio di tomba. Non più un batter d’ala, non più un ronzio. E allora tutti videro quel naso immenso e rosso.
«Chi di voi è quel furfante ribelle che ha osato fare una tal cosa al Re?» il Re urlò
Le api tacquero un attimo, sbalordite e piene di paura: fra le loro schiere passò un mormorio, un bruzzzzzzzzzzzzzio d’imbarazzo e di stupore: ahimè, ahimè, chi mai ha potuto compiere un tale abominio? chi ha ozzzzzzzato fare quest’orribile cozzzzzzzzza?
II timido ronzzzzzzzzzio non si era ancora chetato, quando un’ape minuscola uscì di fra le schiere, volò dritta verso il Re, si posò e disse:
«Eccomi nelle tue mani, Sire! Sono io la colpevole!»
«Tu?» Salomone ruggì come un leone e il suo naso era tutto una fiamma. «Hai punto il naso del Re? E non hai avuto timore di questo naso?»
«Non essere in collera, Sire! La tua umile serva e figlia di serva non intendeva far del male al nazzzzzzzo dell’Unto da Dio. La cozzzzzzza è avvenuta soltanto per sciocchezza, involontariamente. Sono solo un’ape giovanissima, non ho ancora apprezzzzzzzo a distinguere tra un fiore e un nazzzzzzzzzo e fra un nazzzzzzzzzzo e un altro nazzzzzzo, non so distinguere neppure il nazzzzzzzo del Re che esala un profumo di gigli e ha le forme di una mela rubizza».
«Cosa dovrei farti?»
L’ape si incoraggiò e disse: «Ammettiamo che io sia in colpa, ma uno degli attributi di gloria dei Re non è forse proprio la clemenza che li porta a perdonare i delitti? sia questo mio delitto considerato piccolo quanto piccolo è il mio cervellino e quanto breve è la mia vita sulla terra; perdona dunque anche stavolta. Chissà, forse verrà un giorno in cui il Re nostro Signore potrà trovare utile servirsi anche di una mizzzzzzzerabile creatura come me, e allora mi sarà data la possibilità di ricambiare il Re mio Signore».
Queste parole destarono nel cuore del Re tanto riso che la sua ira si dileguò quasi del tutto; e sorridendo rispose: «Oh, sfacciata! Tu dici che potrai essere utile al Re? Dici che tu… ricambierai me? Scappa via presto, scappa via, perché altrimenti…»
L’ape non gli lasciò finire la minaccia: spalancò le ali e scomparve. Il re si spalmò sul naso qualcosa che gli dettero i suoi dottori e il suo naso tornò ad essere com’era prima; e col passare del tempo non si ricordò più dell’ape, anzi si può dire che la dimenticò del tutto.
Poi la Regina di Saba venne dal suo Paese con la sua Corte e con tanti bei doni, per far visita al Re Salomone nel suo palazzo e metterlo alla prova con degli indovinelli, come sta scritto nel Libro dei Re. Dopo aver fatto passare al Re sette volte sette esami, con tutti gli indovinelli, tutti gli stratagemmi e tutte le astuzie che quella donna sapeva e escogitava, e senza mai riuscire a prenderlo in trappola, come appunto è scritto in quel Libro, la Regina tentò un’ultima prova: in mano ai giovani e alle fanciulle che aveva portato con sé dal suo paese mise mazzi di fiori che erano tutti opera di mani d’uomo, salvo uno solo che era fatto di fiori freschi colti in giardino; poi fece schierare tutti dinanzi al Re, in due file una di fronte all’altra, e disse:
«Re Salomone, ecco qui al tuo cospetto, in mano ai giovani e alle fanciulle, tanti mazzi di fiori, di cui alcuni sono veri ed altri fatti dalle mani dell’uomo. Ordunque dimmi, Sire, quali mazzi ti sembrano, a guardarli, veri, e quali ti sembrano finti».
I fiori artefatti erano così belli e così perfetti da destare meraviglia, e non erano in nulla e per nulla dissimili, al vederli, dai fiori dei campi e dei giardini. Salomone guardava e guardava fino a stancarsi gli occhi, ma non riusciva a distinguere i fiori veri da quelli finti; ed era triste, aveva il cuore amareggiato come se avesse bevuto fiele.
Se ne stava così, indeciso, quand’ecco il suo orecchio, solo il suo regio orecchio, percepì un lievissimo brusio che veniva dalla finestra. Gli occhi del Re si volsero da quella parte e il suo volto s’illuminò di improvvisa gioia; e Salomone disse a un suo fido che gli stava al fianco: «Apri la finestra!»
La finestra si aprì e dentro la stanza volò in fretta e leggera una piccolissima ape, che nessuno vide all’infuori del Re. L’ape svolazzò un attimo attorno, e poi senza esitare si posò su uno dei mazzi di fiori.
Sulle labbra del Re fiorì un sorriso: additò il mazzo su cui si era posata l’ape e disse tutto allegro, con grande stupore della Regina di Saba e di tutti gli astanti: «Quello è il mazzo di fiori veri!»
Così l’ape ricambiò il Re.
E quella stessa notte Salomone aggiunse ai suoi saggi Proverbi, che raccoglieva in un Libro, anche questa sua massima: «Chi disprezza una piccola cosa, fa danno a se stesso».
Il gioco
il gioco del grazie
Per i grandi e piccoli
Delitto in biblioteca
Risolverà il sommo ispettore
Gym Gorgonzola
(Rumore di auto in marcia).
gym — Devo riconoscere che il dottor Tagliabue ha fatto un lavoro perfetto.
bob — Riconosco anch’io, capo. Se consenti, vorrei aggiungere che un caso come questo lo dobbiamo risolvere al più presto possibile e con la nostra consueta competenza.
gym — (Acido) Bob! Questo continuo parlare al plurale mi fa travasare la bile! Sono « io » che guido le indagini.
bob — Sì, capo. Ma io guido la macchina! Se non ci fossi io, capo…
gym — Ce ne sarebbe uno migliore. Ho il singhiozzo con questo tuo continuo frenare, accelerare, frenare… (Gridando) Attento a quel pedone!… (stridio di freni). (Sillabando tra i denti) Disgraziatissimo Bob!…
bob — Niente paura, capo. Ho capito subito che quel tizio cercava di investirci. Ma io l’ho speronato come si doveva. Puoi fidarti di me, capo. Sono il miglior auriga di tutti i tempi. Nemmeno Giulio Cesare…
gym — Lascia stare Giulio Cesare e frena: siamo arrivati (stridio di freni e colpo sordo).
bob — Ecco fatto, capo.
gym — Ohi, ohi, ohi la mia testa!…
bob — Che c’è capo? Hai capottato?
gym — Disgraziatissimo Bob! Faremo i conti al termine delle indagini. Ecco la biblioteca. Mi stanno aspettando. Seguimi.
bob — Sì, capo; come un cucciolo di un Fox Terrier, capo.
direttore — Buon giorno, commissario. È puntualissimo. Ha spaccato il minuto, come si dice.
bob — Merito mio, signor direttore. Sono io che ho spaccato…
gym — Taci, Bob. Ho stabilito io gli orari di crociera.
bob — Ma ho guidato io la macchina.
gym — Bando alle chiacchiere, Bob!
bob — Sì, capo. Bando, capo.
GYM — Vediamo dunque. Mentre entriamo le riassumo i dati dell’autopsia. Bob, leggi il referto del dottor Tagliabue.
bob — Grazie, capo. Ora si che mi valorizzi, capo.
gym — (Gridando) Bob, veniamo alla sostanza!
bob — La sostanza è che il prof. Scuola è stato rinvenuto cadavere qui in biblioteca 4 giorni fa, alle ore 11. Il dott. Tagliabue, al termine di una accurata autopsia, ha registrato quanto segue. Sto leggendo bene, capo?
gym — Non divagare, Bob! Sii più conciso!
bob — Concìdo subito, capo. Il morto è morto per uso di una sostanza velenosissima, inodore e incolore, che uccide in pochi secondi. Il dott. Tagliabue rileva ancora che il morto non mangiava da almeno tredici ore e nello stomaco non c’era la minima traccia di liquidi.
gym — Basta così. Signor direttore, spetta a lei dare una spiegazione del fatto.
direttore — Come le dissi per telefono il professor Scuola aveva l’abitudine di venire in biblioteca alle ore nove e si fermava fin quasi a mezzogiorno. Quattro giorni fa è stato trovato, alle ore 11, con il capo reclinato sul libro che stava leggendo. Non dava più segni di vita. È stato il segretario a dare l’allarme.
gym — Mi faccia vedere il libro che stava leggendo.
direttore — Eccolo. È un romanzo giallo: «Delitto in biblioteca». Era la quarta volta che lo richiedeva e certamente stava meditando il suicidio.
gym — Su quale pagina fu trovato morto?
direttore — Sulla pagina 47. Guardi, è rimasta stropicciata.
bob — Doveva essere molto interessante. A me piacciono molto i libri gialli, soprattutto se ci sono tre o quattro cadaveri.
gym — Bob, risparmiaci i tuoi idioti apprezzamenti!
bob — Sì, capo. Risparmio, capo.
direttore — II prof. Scuola era molto depresso e nervoso. Credo che abbia meditato a lungo il suicidio. Purtroppo lo ha consumato qui in biblioteca.
gym — Eppure non abbiamo trovato nulla di sospetto sulla sua persona. Anzi, in tasca aveva un promemoria per un appuntamento alle ore 12.
direttore — Se desidera, commissario, può avere conferma dei miei sospetti interrogando il segretario. Eccolo, sta arrivando. Parli forte perché è un po’ sordo.
segretario — Buon giorno, signor commissario. Rallegramenti! Ho letto molto di lei sui giornali e anche del suo validissimo aiutante. Rallegramenti!
bob — Grazie! Grazie! Lei sì che se ne intende!
gym — Bob, stop! Prendi nota! Procedo all’interrogatorio formale. Signor segretario, ha scoperto lei il cadavere?
segretario — Sì, lo conoscevo molto bene. Veniva ogni mattina; capirà, era in pensione e allora…
gym — Sì, sì, sì. Ma si attenga strettamente alle domande. Risponda succintamente.
segretario — Come dice? Io mento? Per nulla, signor commissario, può domandare anche al qui presente…
direttore — Parli più forte. È sordo.
gym — Va bene. Griderò. {Gridando) Dunque!
SEGRETARIO —- Sì.
gym — « Sì » che cosa? Aspetti la domanda prima di rispondere. Lei dunque ha trovato il cadavere.
segretario — Sì, quattro giorni fa. Stava con la testa reclinata sul libro, la bocca spalancata e la mano destra abbandonata lungo il fianco. Mi scusi, ma c’è un particolare curioso: la mano destra è evidentemente scivolata dal libro mentre il prof. Scuola cercava di girare la pagina perché ha strappato l’orlo del foglio.
gym — Infatti, qui a pag. 47 c’è un piccolo strappo. E queste macchie in fondo alle pagine che cosa sono?
segretario — Sono macchie lasciate dal professore che, vede, aveva l’abitudine di girare i fogli bagnandosi l’indice con la saliva. Guardi, c’è anche nelle pagine precedenti. È un’abitudine che faceva irritare, mi scusi, vero, se lo dico, ma è così, faceva irritare il qui presente direttore.
direttore — Hem! Sì, certo. È una cosa che proprio non sopporto! È vergognoso prendere i libri a disposizione di tutti e imbrattarli di saliva! Gliel’ho fatto notare mille volte.
segretario — Sì, si. E hanno anche litigato per questo. Anzi, dirò di più. Proprio il giorno precedente la disgrazia, diciamo così, c’è stata una vera scenata!
gym — Lei può confermare?
direttore — Beh, sì, certamente! Direi anzi che il prof. Scuola è stato più aggressivo del solito, arrivando fino a minacciarmi con queste precise parole: «Lei dovrà pentirsi di quello che sta facendo!». Evidentemente tramava già il suicidio. Il segretario può confermare.
segretario — Per la verità non ho capito bene le parole, ma ho notato molta agitazione in entrambi. Poi ho visto il direttore rientrare nel suo ufficio molto irritato.
gym — Chi è che ritira i libri e chiude la biblioteca?
segretario — Di solito faccio io.
gym — II giorno che ha preceduto il delitto, chi ha chiuso la biblioteca?
segretario — È stato il direttore. Ricordo benissimo. Era martedì, giorno in cui esco qualche ora prima per farmi una passeggia-tina. Capirà, ho una certa età e questo odore di libri vecchi…
gym — Quindi ha ritirato lei il libro del prof. Scuola.
direttore — Sì. Come al solito conservavo in disparte i libri che i clienti non finivano di leggere.
gym — Vediamo… dunque… dunque… (sfoglia il libro).
bob — Che ne pensi, capo? Mi sembra ormai chiaro!
gym — Certo, Bob. È chiarissimo!
bob — Eh, già. Questa volta lo avevo immaginato anch’io: si tratta di un evidente suicidio.
gym — Bob, arresta quest’uomo! È lui il colpevole!
bob — Chi? Il direttore? Ma, capo… si tratta di un suicidio!…
gym — Bob! È un puro, purissimo omicidio!
bob — [Sforzandosi di ridere) Eh! Eh, già, capo! Avevo capito, sai! Facevo per modo di dire!… {Tra sé) Boh!? Chi ci capisce è bravo!…
Perché ha ragione l’infallibile commissario?
La preghiera del giorno
Gesù dolce memoria
che da vera gioia al cuore:
ma più del miele e di ogni cosa,
dolce è la sua presenza.
Niente si canta di più soave,
nulla si ode di più lieto,
nulla si pensa di più dolce
che Gesù, figlio di Dio.
Gesù speranza per chi si converte,
quale misericordia per chi ti invoca,
quale bontà per chi ti cerca!
Che sarai per chi ti trova?
Non vi è lingua capace di narrarlo,
né parola in grado di esprimerlo:
chi ne fa esperienza può credere
cosa sia amare Gesù.
Gesù sii la nostra gioia,
tu che sei il guadagno che ci attende:
sia in te la nostra gloria,
sempre, per tutti i secoli.