IPENSIERI
di Don Bruno
Le storie di solito cominciano con «C’era una Volta…». II titolo di questo piccolo libro invece è la storia infinita. Come dire. «C’e, oggi… Don Bosco». La sua storia continua. I suoi figli la continuano, ogni giorno.
La bellezza dell’uomo buono. L’abbiamo dimenticata e anche il profumo che l’accompagna. I santi sono così. Per questo sono affascinanti. La gente percepisce istintivamente il loro splendore. E dopo secoli ancora si sente il loro profumo.
Un bambino osservava incantato le splendide vetrate di una cattedrale illuminate dal sole.
«Adesso ho capito chi è un santo» disse all’improvviso.
«Si? Davvero?» fece la catechista.
«É un uomo che lascia passare la luce».
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Quando l’urna di Don Bosco ha pellegrinato per quasi tutti i paesi del mondo, milioni di persone si sono mosse, anche di notte, solo per “vedere” Don Bosco. Che cosa li attirava? La stessa cosa che attirava i ragazzi, i giovani, la gente semplice della Torino dell’Ottocento. Un raggio di quella luce che viene dall’alto e che Don Bosco lasciava passare.
I ragazzi stavano bene accanto a Don Bosco. Si sentivano al sicuro, nel calore e nella luce di una paternità e di un’umanità ricca e forte. «Mi voleva bene» ricordavano tutti i ragazzi. Nella sua paternità scoprivano quella di Dio.
Lui aveva promesso: «La mia vita la spenderò tutta per voi». Mantenne la promessa.
Leggete la sua storia. É un uomo che ha sfibrato il suo povero corpo; che dedicò ogni attimo del suo tempo alla felicità dei piccoli e dei poveri, senza fermarsi davanti a niente; che per riprendere le forze sonnecchiava dove poteva, anche in una bottega della strada; che confessava in chiesa e all’aperto; che correva e pregava con i ragazzi in un prato, dopo che tutti i padroni di case l’avevano cacciato.
E quando ebbe una baracca stile Betlemme tutta sua, in mezzo al nulla, parlava di un oratorio vasto e spazioso, di chiese, case, scuole, laboratori, ragazzi a migliaia, ambienti a loro disposizione. «Dove sono queste cose?» gli chiedevano perplessi. «Non lo so, ma esistono, perché io le vedo» rispondeva.
Le vedeva in sogno, quei sogni speciali nei quali la Madonna lo prendeva per mano e lo guidava. E lui si fidò sempre, senza scoraggiarsi, spezzando la sua vita come pane per tutti, strumento nelle mani del Padre del Cielo. Anche se realizzare i sogni che Dio gli mandava gli costò sempre sangue e lacrime.
Umile, cioè umano, forte e robusto, tutto realizzò. Prete di periferia fino in fondo. Nel suo nome sono sorte opere votate al bene dei giovani in tutto mondi, scuole, gli oratori, parrocchie dove continua a battere il suo cuore. Un cuore che è diventato un modo di educare. Guy Avanzini, eminente professore di Università, continua a ripetere: «La pedagogia del Ventunesimo secolo sarà salesiana, o non sarà».
Per questo, umilmente e gioiosamente, crediamo che Don Bosco è uno dei più preziosi doni che Dio ha fatto all’umanità.
Nell’incipit della sua Lettera da Roma, del 10 maggio 1884, Don Bosco scrive ai suoi giovani: «Uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità». Al termine della sua vita terrena, queste parole condensano il cuore del suo messaggio ai giovani di ogni epoca e di tutto il mondo. Essere felici, come meta sognata da ogni giovane, oggi, domani, nel tempo. Ma non solo. Nell’eternità e quel di più che solo Gesù e la sua proposta di felicita, la santità appunto, sa offrire. É la risposta alla sete profonda di “per sempre” che brucia in ogni giovane.
II mondo, le società di tutte le nazioni, neanche possono proporre il “per sempre” e la felicità eterna. Dio si. Per Don Bosco tutto ciò era chiarissimo. Le sue ultime parole ai giovani furono: «Dite ai miei ragazzi che Ii aspetto tutti in Paradiso».
La storia di un ragazzo di 13 anni che, in una freddissima mattinata di febbraio del 1828, deve partire e andarsene da casa con il suo fagottino, in cui la mamma aveva messo le cose che gli potevano servire, alla ricerca di qualcuno che lo tenga come garzone.
Giovannino Bosco ha trovato un po’ di ospitalità alla Cascina Moglia ed affronta le difficoltà con il suo fratellastro Antonio, che non lo sopportava perché sembra non lavorasse come gli altri e che avesse alcune idee strane…
“Le persone che dovevano sopravvivere erano 5 e proprio quell’anno i raccolti andarono perduti per una terribile siccità.
I generi alimentari salirono a prezzi favolosi. Si dovette pagare sino a 25 lire per un’emina di grano”
I consigli della mamma sono preziosissimi per Giovanni Bosco. Infatti proprio questi diventeranno la base della personalità di Giovannino, che era il più attento dei fratelli alle parole di mamma Margherita.
Le preghiere che mamma Margherita non dimenticava mai: “Il Bin” si chiamavano in piemontese. Ossia il bene, la cosa forse che da un senso a tutta la giornata.
“…questi giovani mi fanno pena. Giovanni sei ancora troppo piccolo, tutto questo non lo puoi ancora capire.”
“Si invece lo capisco!”
“Che cosa capisci Giovanni?”
“Che la mia mamma è buona con tutti.”
“E vide quell’uomo che passeggiava sul sentiero che costeggiava quella parte della collina. Faceva finta di niente ma teneva d’occhio tutte le vigne…”
I consigli della mamma sono preziosissimi per Giovanni Bosco. Infatti proprio questi diventeranno la base della personalità di Giovannino, che era il più attento dei fratelli alle parole di mamma Margherita.
Mentre erano tutti intorno al tavolo per la colazione lo raccontò. I fratelli si misero a ridere.
“Diventerai un pecoraio” disse Giuseppe Antonio malignò: “Sarai un capo di briganti”.
La mamma sorrise dolcemente: “Chissà che non abbia a diventare prete”.
“Giovanni dà uno spettacolo di circo, giù sul prato dei peri!” , gridarono i bambini dei Becchi.
“Mamma, per favore! Facci andare!”
“Che cosa capisci Giovanni?”
“Che la mia mamma è buona con tutti.
C’era un mestiere che affascinava Giovanni. Era il sacerdote. La mamma lo aveva preparato alla Prima Comunione e alla Prima Confessione con infinita dolcezza. Lui aveva capito tutto e soprattutto aveva assimilato la profondità e il senso spirituale dell’Incontro con il mondo di Dio. E i preti si erano gli uomini che si occupavano di Dio.
C’era un nuovo cappellano nella chiesa di Morialdo, non lontano dai Becchi. Si chiamava don Giovanni Calosso. Era un buon prete che era rimasto impressionato dall’intelligenza di Giovanni e si era offerto di dargli delle lezioni.
Margherita, ancora una volta si dimostrò decisa e risolse il problema una volta per tutte. L’eredità di Francesco Bosco venne divisa tra i figli. Antonio ricevette quello che gli toccava e se ne andò di casa. Giuseppe diciottenne diventò mezzadro in una fattoria.
E Giovanni? Finalmente poteva studiare in santa pace!
Estate 1831. Consiglio di guerra nella fattoria Sussambrino. La famiglia Bosco decise a maggioranza schiacciante che Giovanni doveva andare a Chieri e frequentare gli studi regolari. Erano tutti con lui e lo appoggiavano.
Aveva sedici anni e per la prima volta entrava in una vera città. Ricordò spesso quel primo momento: “Chi è cresciuto tra i boschi, e ha veduto soltanto qualche piccolo paese di provincia, prova grande impressione al vedere una città”.
Si ritrovò presto circondato da amici.
Erano tanti e si poteva permettere di sceglierli. Inventò un suo metodo particolare. “Li avevo divisi mentalmente in tre categorie: buoni, indifferenti, cattivi”.
Doti naturali, forza, fascino, abilità. Giovanni aveva tutto. Ed era attraente. Ma i due amici che più influirono felicemente sul suo carattere e sul suo futuro, in qualche modo li dovette conquistare lui. Anche se possiamo pensare che Dio glieli avesse messi apposta sotto il naso.
Luigi Comollo e don Cafasso: due nomi che non dimenticherà più.
I giorni di crisi non erano finiti. La scuola stava per finire. Il momento della grande decisione si avvicinava.
“Che cosa devo fare?” era la domanda che tormentava Giovanni.
Tutto a posto? Non ci sono mai strade diritte e comode nella vita di Giovanni. Si deve conquistare metro dopo metro. Sempre.
Una storiella sapienziale narra di uno scultore che stava lavorando alacremente con il martello e lo scalpello su un grande blocco di marmo. Un ragazzino, che passeggiava leccando il gelato, si fermò davanti alla porta spalancata del laboratorio.
Imparò anche a comunicare. “Con l’approvazione del mio parroco, cominciai a fare prediche e discorsi. Nel paese Alfiano, nelle vacanze del 1838, predicai alla festa della Madonna del Rosario.”
“Quanto sono meravigliose le strade della Provvidenza! Dio ha veramente sollevato da terra un povero fanciullo, per collocarlo tra i suoi prediletti”.
Giovanni è di nuovo di fronte alla domanda della sua vita: “Che cosa faccio, adesso?”
Prima dell’inizio del nuovo anno scolastico un nobile molto ricco di Genova gli offrì l’incarico molto ben pagato di precettore ed educatore.
L’8 dicembre 1841, festa dell’Immacolata. Don Bosco di preparava a dir messa nella chiesa di San Francesco d’Assisi. Proprio in quel momento udì correre. E vide il sacrestano che cacciava, a colpi di scopa, fuori dalla chiesa un giovane di aspetto malandato.
Don Bosco non voleva convertire con dei “pii ricatti”. UN ragazzo appena arrivato al paese, garzone di muratore, si unì alla turba dei ragazzini che andavano al monte dei Cappuccini, con la tromba, i giochi, don Bosco in testa e l’immancabile colazione.
La marchesa lo mise alle strette. Aveva visto che Giovanni era allo stremo delle forze. Don Bosco doveva scegliere: o le sue opere o licenziarsi.
Don Bosco si licenziò. Ormai era senza più alcuna risorsa. Nessuna, tranne Dio.
Il pur robusto Giovanni, però, aveva forzato troppo la salute. Una violentissima polmonite lo buttò a terra. Suo padre era morto di polmonite. In quel tempo era rarissimo chi ne guariva…
Ma una sera di maggio: “Mamma, là fuori c’è qualcuno”.
“Ma va. è la pioggia”. Alla luce dei lampi si stagliò al di là dei vetri, fradicio e spaurito, l’esile volto di un ragazzo.
In un sogno del 1844, dopo la solita scena di una moltitudine di animali di ogni specie, appare la Pastorella misteriosa. E don Bosco continua: “Dopo aver molto camminato, mi trovai in un prato dove quegli animali saltellavano e mangiavano insieme, senza che gli uni tentassero di mordere gli altri”.
Coloro che si erano sentiti urtare da tutto il dinamismo di don Bosco strinsero i tempi. Bisognava farla finita con quel personaggio scomodo piovuto dai campi del Monferrato nei campi di Valdocco a cogliere frutti che essi avevano creduto di loro spettanza esclusiva. Presero la cosa da lontano e alla maniera farisaica.